All'improvviso bussano alla porta e uno scrittore si ritrova ostaggio di un gruppo di persone che, con la minaccia delle armi, gli intima di raccontare una storia. In difficoltà, lo scrittore cerca di cavarsela in una situazione che "ad Amos Oz e David Grossman non capiterebbe mai". In "Cheesus Christ" un uomo viene pugnalato a morte in un fast food dopo aver ordinato un hamburger senza formaggio. La vicenda ha conseguenze imprevedibili e apocalittiche che riflettono ironicamente il caos e la casualità dell'esistenza. Una delle trentotto storie brevi contenute in questo volume si dichiara esplicitamente e senza pudore come "il racconto migliore del libro". Promette al lettore una Mazda Lantis grigia metallizzata in premio se lo legge in maniera corretta, e comunque un modello più economico se non lo legge in maniera corretta, perché è un racconto che vuol far sentire bene il lettore, che non vuole creargli complessi di inferiorità. Questi sono solo alcuni dei racconti che compongono la raccolta di Etgar Keret, un libro spassoso che ha conquistato i lettori.
La nostra recensione
Con questa raccolta di racconti Etgar Keret si sta imponendo finalmente anche in Italia all'attenzione del pubblico, e con pieno merito, perché nelle sue storie brevi riesce a parlare ai lettori e a comunicare con loro come se si trattasse di una piacevole e amichevole conversazione. Il suo stile visionario ed essenziale si mantiene nel solco tracciato da Isaac B. Singer, il maestro della novella yiddish, ma Keret si spinge ben oltre, mettendo in scena personaggi ingenui, deviati, patetici, istrionici, grotteschi, ironici, tutti anche un po' sognatori e impostori, che trasformano la realtà in una palla magica che rimbalza senza che se ne possa prevedere la direzione. Una realtà frammentata e caotica, colta di volta in volta nella sua sagoma più surreale o più struggente, o semplicemente più stralunata. Per gli scrittori israeliani, e Keret non viene meno a questa inclinazione, indugiare nel sogno un po' come cullarsi nel grembo della propria tradizione letteraria, anche se in questi racconti ironici, onirici, amari e disincantati non c'é traccia alcuna di gravità moralistica; il richiamo etico - se così ancora lo si può chiamare - sempre allegorico e alleggerito in un liberatorio sorriso di scherno. Alla fine del libro si capisce bene perché Keret preferisca la forma 'istintiva' del racconto per esprimere emozioni e pensieri: nel respiro breve della forma-racconto condensa tutto un mondo e lo fa esplodere. Antonio Strepparola