Da sempre, per il grande pubblico, l'Apocalisse attribuita a Giovanni è sinonimo di profezia sulla fine del mondo e quindi di predizione dei cataclismi futuri che ne segneranno il collasso. Questo nuovo commento intende proporre una chiave interpretativa radicalmente diversa, in linea con le acquisizioni più recenti della ricerca storica. Dall'analisi emergono così un'opera e un autore, che, nella cornice della cultura e della società imperiale del I sec. d.C., si sforzano di promuovere fra i seguaci di Gesù un ideale incentrato sulla purezza sacerdotale dei membri del gruppo e sul carisma e l'autorità profetici.
Edizione critica dell'Apocalisse di Giovanni, l'unica del suo genere letterario ad essere ammessa nel canone del Nuovo Testamento, e con questo tramite - e per la sua forza visionaria - nel canone della cultura occidentale. Analisi che mira a collocare ogni immagine, tema, forma ed espressione del testo nel contesto culturale del suo tempo, ebraico, cristiano ed ellenistico di una provincia microasiatica, a trovarne i riferimenti nel suo tempo e a spiegarla con le categorie coeve. Può essere motivo di sorpresa scoprire che, in fondo, non c'è "mistero" e rivelazione coartatamente futura, ma immaginifico velamento del presente vissuto da Giovanni, in un linguaggio cifrato ed "estatico" probabilmente perduto ma certamente condiviso con i destinatari della sua "lettera", membri di un'"ekklesia". Scopo non privo di ambizione del libro è disseppellirne il più possibile le chiavi di accesso con un minuzioso lavoro archeologico di recupero di senso.
Un appunto metodologico: nel Commento l'autore cita pochi studiosi italiani come fonte principale di conferma per le sue tesi, dando forse l'idea errata di un "orto" un po' chiuso.
Dario Bottos - 25/05/2013 14:00