La mattina del 15 maggio 1935 il ventiquattrenne Massimo Mila viene arrestato a Torino con altri militanti del movimento antifascista Giustizia e Libertà. Nel successivo febbraio viene condannato a sette anni di carcere dal Tribunale speciale. La sua esperinza carceraria - "il lungo tormento di tutte le separazioni per cause politiche" - è racchiusa in queste lettere alla madre. La posta settimanale, unica occasione di scrittura, diviene lo strumento al quale Mila consegna le riflessioni sulle letture storiche, filosofiche e letterarie, e la prima stesura de "La libertà dell'interpretazione musicale". La volontà di far filtrare un proprio mondo interiore sempre più consapevole indietreggia, pur nell'intensità degli affetti, neppure dinanzi agli aspri motivi di dissenso, tanto da trarne, per certi versi, un personale "elogio della galera": "La mia vita qui non è affatto anormale: se non mi mancaste voi e la montagna, direi che è la miglior vita che posso desiderare: niente da fare, leggere, studiare, pensare". Sono lettere private e insieme pubbliche e delineano il percorso di maturazione intellettuale e politica del "soldato semplice" dell'antifascismo, che sfocerà nella partecipazione alla Resistenza e nel costante impegno civile di uomo di cultura, vigile custode del binomio giustizia e libertà.