Gioconda detta Giò ha trentacinque anni, una storia familiare complicata alle spalle, un'anima inquieta per vocazione o forse per necessità e un unico, grande amore: Leonardo. Che però l'ha abbandonata. Smarrita e disperata, si ritrova a vivere a casa dei suoi nonni, morti a distanza di pochi giorni e simbolo di un amore perfetto. La notte di San Valentino, Giò trova un biglietto che sua nonna aveva scritto all'angelo custode, per ringraziarlo. Con lo sconforto, ma anche il coraggio, di chi non ha niente da perdere, Giò ci prova: scrive anche lei al suo angelo. Che, incredibilmente, le risponde. E le fa una promessa: avrò cura di te. L'angelo ha un nome: Filemone, ha una storia. Soprattutto ha la capacità di comprendere Giò come Giò non si è mai compresa. Di ascoltarla come non si è mai ascoltata. Nasce così uno scambio intenso, divertente, divertito, commovente, che coinvolge anche le persone che circondano Giò. Uno scambio che indaga non solo le mancate ragioni di Giò: ma le mancate ragioni di ognuno di loro. Perché a ognuno di loro, grazie a Filemone, voce dell'interiorità prima che dell'aldilà, sia possibile silenziare la testa e l'istinto. Per ascoltare il cuore. Anche e soprattutto quando è chiamato a rispondere a prove complicate, come quella a cui sarà messa davanti Giò proprio dal suo fedele Filemone, in un finale che sembrerà confondere tutto. Ma a tutto darà un senso.
La nostra recensione
Questo è un libro speciale. Non solo perché scritto a quattro mani da due scrittori che sanno benissimo come toccare il cuore dei lettori, ma anche perché possiamo considerare il risultato un po’ più grande della somma Chiara GamberalepiùMassimo Gramellini. Diciamo che l’unione, in questo caso, ha fatto veramente faville, lasciando ai lettori parole cariche di sensazioni e di emozioni, calate in quella sospesa atmosfera di serenità che aleggia nelle fiabe e che, a volte, non disdegna di affacciarsi nella faticosa arrancante realtà di tutti i giorni. Come interpretare d’altronde il serrato rapporto tra Giò e Filemone, se non come il discepolo che segue il maestro, la luce che illumina il cammino, il focolare che riscalda dal gelo, la coltre che protegge e ristora? Il lungo viaggio di Giò e Filemone dura un anno esatto e parte non a caso da un 14 febbraio, data simbolica, come di simboli si deve nutrire il cuore dell’uomo, guardando dentro di sé senza smarrire quanto gli sta attorno e senza ignorare quanti gli vivono accanto e che continuano, anche se apparentemente muti e silenti, a trasmettere parole di conforto e atti d’amore. È tutta qua - ma è grandissima e speciale, appunto - la missione di Filemone: solo le parole e i gesti che toccano le giuste corde del cuore affranto di Giò la possono aiutare a ritrovare sé stessa, senza rivoluzioni, senza fratture, ma semplicemente con il bene di cui è capace e il coraggio di trasmetterlo, imparando, in fondo, ad avere cura di sé. Come dice Filemone a Giò: “Oscilli tra la nostalgia per ciò che hai smarrito e l’angoscia per quanto dovrai affrontare. L’unica emozione che fatichi a riconoscere è il coraggio: forse perché è legata al presente. Ma la mia missione, Giò, consiste proprio nell’aiutarti a vivere qui e ora”. Antonio Stepparola