Tra i corridoi stipati di schedari, davanti agli schermi fluorescenti di computer animati dalle strane evoluzioni di automi biomorfi, nel corso di seminari improvvisati a colazione e durante le interminabili discussioni notturne attorno al tavolo da cucina, ogni istante della giornata a Santa Fe trasuda eccitazione e fermento intellettuale: un incessante ribollire di proposte, un fuoco di fila di intuizioni e ipotesi ardite che si incrociano e si sovrappongono nella comune sensazione di stare contribuendo a qualcosa di importante. Fondato nel 1984 tra le mura di un ex Convento nel New Mexico, l'Istituto di Santa Fe non si pone regole ortodosse né impone alcun vincolo ai propri partecipanti, nella convinzione che proprio dal confronto interdisciplinare possa emergere una nuova visione unificante della scienza. La scoperta cioè di quelle leggi elementari sottese a eventi eterogenei e apparentemente inspiegabili quali la decadenza di civiltà progredite, l'estinzione in massa dei dinosauri, il crollo della Borsa nel lunedì nero del 1987, la formazione di organi sofisticati come l'occhio e il cervello, la genesi di una galassia, via via fino all'ultimo dei misteri, l'origine della vita a partire dal 'brodo' primordiale di singole molecole. Il vecchio grande libro della natura, finora codificato in caratteri matematici e governato da leggi lineari, cede il passo a una nuova metafora che nella complicità paradossale tra ordine e disordine, organizzazione e spontaneismo, cooperazione e antagonismo, trova la sua formula vincente, e tra le file di una comunità scientifica trasgressiva e iconoclasta conta i suoi più agguerriti sostenitori. Membri di questa esaltante quanto imprevedibile alleanza di fine secolo sono Premi Nobel come il fisico Murray Gell-Mann o l'economista Kenneth Arrow, ricercatori d'avanguardia del calibro di Stuart Kauffman e Chris Langton, accanto a una schiera di volenterosi matematici, cibernetici, neuroscienziati, biologi molecolari.