Quella che Isabel Vincent racconta in "Corpi e anime" è una storia vera e terribile, che trova le proprie radici nella tragedia dell'antisemitismo, e che tuttavia ci regala anche una luminosa speranza. "Corpi e anime" recupera infatti dalla vergogna e dall'oblio il destino di alcune giovani donne ebree, nate e cresciute nell'Europa Orientale, le quali, per sfuggire alla straziante miseria e ai pogrom, abbandonarono i villaggi e i ghetti urbani confidando in una sorte migliore. Finirono purtroppo nelle mani della Zwi Migdal, un'organizzazione criminale interamente costituita da malviventi ebrei, che fino al 1939 avviò molte giovani alla prostituzione, destinandole alle case di tolleranza che gestiva a New York, in Sudafrica, in India e in Sudamerica. Seguendo dalla Polonia al Brasile le tracce di tre di queste ragazze, Sophia Chamys, Rachel Liberman e Rebecca Freedman, "Corpi e anime" ci racconta una vicenda straordinaria e commovente. Perché Sophia, Rachel, Rebecca e le altre 'polacas', seppur ridotte in schiavitù, sfruttate e oltraggiate, seppero affrontare la loro sorte con dignità e fermezza: mantennero vivo il loro sentimento religioso, malgrado l'ostracismo della stessa comunità ebraica verso queste donne immorali, e costruirono una rete di solidarietà, la Società della Verità, fondata sull'amore, sul timor di Dio e sulla fiducia reciproca.