"Un ritratto del costume italiano tra le due guerre maliziosamente articolato e di una finezza, di una sottigliezza, di un brio che si possono dire settecenteschi", scriveva Leonardo Sciascia delle noterelle di Irene Brin: "Nell'"Omnibus" di Longanesi, il settimanale più intelligente e meno conformista che sia stato pubblicato negli anni del fascismo, alla pagina intitolata "giallo e rosso", tra l'articolo di critica drammatica di Alberto Savinio e quello di critica musicale di Bruno Barilli, stava l'articolo di Irene Brin. Erano 'cose viste', raccontini, registrazioni di conversazioni e di piccoli avvenimenti più grandi sul piano di una cronaca aparentemente svagata ma effettualmente attenta e pungente, si trattava dello stesso mondo, della stessa società, che Moravia ritraeva nei suoi romanzi e racconti: il mondo borghese e burocratico della capitale (e perciò il giallo e rosso, i colori romani)". Queste "Cose viste 1938-1939" sono degli anni ultimi del fascismo, quelli delle leggi razziali e del rinserrarsi dell'alleanza con la Germania di Hitler. Irresistibilmente fanno pensare - coi loro caffè, i 'tabarini', i pomeriggi di spese, le modiste, l'Upim, l'automobile - ai film con Vittorio De Sica, Umberto Melnati, Enrico Viarisio: una borghesia normale, desiderosa, e con un certo successo, di eleganza, di leggerezza, di modernità; che scaccia da sé le tenebre, e solo non desidera vedere, ciò che l'ironia di Irene Brin vede e non vede.