"Da che cosa mi sono lasciato commuovere? Dal fallimento dell'utopia o dalle magre gambe di Conchita? Dalla faccia accorata di Félix o dal mare azzurro dei Caraibi? Forse soltanto dal lago indistinto che tutte queste cose formano dentro di me e in cui continuo a specchiarmi". Un uomo va a Cuba per "capire, capire e ancora capire" la Cuba che aveva fantasticato fin dal liceo, quando leggeva "Il Corsaro Nero" e Hemingway e si entusiasmava per Che Guevara e Fidel Castro. Invece stringe improvvise quanto intense amicizie con uomini e donne e si perde nel divagante turbinio delle giornate, come il turista che non voleva essere. Finisce per non scrivere - se non per pochi appunti, per pochi frammenti intercalati agli incontri e alle avventure - "il grande saggio politico, storico, sociologico, antropologico" che aveva progettato. Ma proprio per questa via trova la verità che cercava assai più di molti che dissertano sentenziosamente sulla caduta dei muri. Accetta l'inestricabile confondersi di ricordi, aspettative, figurazioni e "gocce di sentimento" con la spoglia realtà che ha sotto gli occhi e questa confusione rende 'falso' il suo diario: perché, ci spiega con autoironica aria di sfida, "quello che c'è da inventare, lo inventerò, come si conviene a un reportage obiettivo da un'isola della fantasia".