Era condizione profonda e ben fondata di Sciascia che fra i caratteri peculiari della sua terra ci fosse una certa "refrattarietà dei siciliani alla religione cristiana", paradossalmente confermata dalle forme di culto religioso. Tesi non popolare perché duramente vera. E capitò a Sciascia di imbattersi, per quella "casualità" in cui alla fine riconosciamo "il solo ordine possibile", in una vicenda - realmente accaduta a un vescovo - che sembrava riproporre in una sequenza di eventi qualcosa di molto affine al giro di pensieri che l'autore era andato a lungo maturando. Si trattava della storia di monsignor Ficarra, vescovo di Patti, che finì in contrasto col Vaticano per la sua scarsa malleabilità politica e anche per l'audacia di certe sue tesi sulla religiosità (e irreligiosità) siciliana. Come sempre in Sciascia, una storia realmente accaduta viene attraversata da una luce che permette di riconoscere con nettezza il dettaglio significativo e trasforma il tutto in un apologo, per dirci sulla Sicilia - e sulle sue oscurità - qualcosa che invano cercheremmo altrove.
Se amate leggere Camilleri, se avete letto ''La strage dimenticata'' o ''La concessione del telefono'', vi consiglio questa opera di Sciascia.
In poche pagine lo scrittore disegna uno spaccato della storia politica e culturale della Sicilia e dell'Italia.
Un pezzo di storia locale, vera, come non si legge sui ''libri di storia''.
Un pezzo di storia che dovrebbe essere conosciuta, almeno, da tutti coloro che si sentono legati alla Città di Patti ed alla Sicilia.
Anonimo - 24/07/2002 09:42