L'uomo nasce, cresce, si riproduce e muore, come qualsiasi altro animale, e ogni giorno della sua vita si nutre o vorrebbe farlo. Sfamarsi è un atto, una funzione, un rituale, un momento di comunione, una necessità, uno sforzo o un piacere che interessa più di sei miliardi di esseri umani, ma mentre per alcuni rappresenta una parentesi nella giornata, per altri costituisce una lotta quotidiana e un diritto da conquistare. Il binomio agricoltura-alimentazione rappresenta dunque una sfida di portata strategica: un quinto dell'umanità coltiva la terra, mentre la sua totalità si nutre o vorrebbe farlo. Dalla composizione delle forze in gioco si ricava un quadro aspro, che vede da un lato centinaia di milioni di contadini schiacciati da una concorrenza economica iniqua e da rapporti di filiera squilibrati (sia la gran parte dei poveri del pianeta che i tre quarti delle persone in condizioni di insicurezza alimentare vivono in ambienti rurali, rappresentando quello che si può definire il paradosso delle 'campagne affamate'), e dall'altro un mondo di consumatori con fragili garanzie alimentari, da intendersi come certezza dell'accesso al cibo (800 milioni di persone sono cronicamente sottonutrite) e come certezza dell'integrità sanitaria e organolettica degli alimenti. E su questa complessa relazione che si intreccia il dibattito sulla 'sicurezza alimentare', confondendo e mescolando il diritto ad accedere al cibo e alle risorse con cui produrlo con le garanzie igieniche che devono essere assicurate. Da qui la proposta di ragionare in termini di sicurezza degli alimenti - se ci si limita a considerazioni sulla loro innocuità - e di sovranità alimentare - per rendere più completa l'idea di sicurezza alimentare, integrando controllo democratico sul cibo e certezza dell'accesso alle risorse produttive. La sovranità alimentare rappresenta dunque la sfida alle politiche di liberalizzazione in agricoltura orientate ad una globalizzazione alimentare che ad oggi è più un obiettivo per i pochi che ci potrebbero guadagnare che una realtà dei fatti, se è vero che solo poco più del 10% della produzione agricola mondiale viene scambiata sul mercato internazionale.