L'ipotesi analitica che guida questo libro (ed anche quello che lo ha preceduto: "Personaggi letterari a tavola e in cucina", che quindi possono essere considerati - se l'ipotesi resiste alla sua pratica - i primi volumi di una possibile serie lunga quanto la letteratura) è che ciascuno scrittore ha una sua cucina, così come ha una sua lingua personale. Per cui, una lettura attenta, come non si fa d'abitudine, alle ricette, ai pranzi, ai cibi, agli ingredienti, alle abitudini culinarie che traspaiono dai testi, è perfettamente idonea a fornire una chiave interpretativa e critica dei caratteri, delle situazioni sociali, dei rituali mondani, dei sostrati culturali. E forse proprio perché un autore nel parlare di cibi tende ad allentare le briglie dell'autocontrollo, una tale analisi può talvolta fornire addirittura sorprese, può gettare raggi di luce sul non detto. "Come le case e gli abiti - scrive l'autrice - il cibo descrive e colloca: antropologicamente, psicologicamente, ritualmente. E temporalmente e spazialmente. E se il cibo, la cucina definiscono gli individui, a rovescio gli individui modellano la cucina ". Sicché in "Frittate d'autore" la prospettiva culinaria, che per di più si offre per sua natura ad essere divertente e lieve mai pedante e cervellotica, permette di correre dal testo alla ricetta, ripescata nei libri di cucina del tempo com'era dettata e nelle cronache com'era eseguita, di andare dal personaggio alle biografie e agli ambienti. E stupisce come ogni autore, non solo quelli che ci si aspetterebbe: la Austen, o Kipling, o Saba, o Pearl S. Buck (e ciascuno può farsi la propria lista delle attese), ma perfino quelli apparentemente più lontani dai fornelli: da Dostojevskij a Fitzgerald a Sartre, indugi, molto significativamente ma non sempre consapevolmente, sui cibi, le cucine e le tavolate.