Da Disneyland alla "ruota della fortuna", dai videogame ai giochi di società, la parola d'ordine nel mondo contemporaneo sembra essere diventata una sola: divertitevi! Niente di male. Ma quale tipo di gioco ci viene oggi proposto? Un buon gioco o un cattivo gioco? Per rispondere a questi interrogativi Ermanno Bencivenga si è aggirato tra i fantasmagorici casino di Las Vegas, moderna e ingannevole città dei balocchi, scoprendo che gli americani nel weekend compiono davanti ai tavoli verdi e alle slot machines gli stessi disperati gesti automatici che ripetono durante la settimana lavorativa; ha seguito quotidianamente i quiz televisivi di Mike Bongiorno, Claudio Lippi, Gerry Scotti e Iva Zanicchi, notando che si tratta di spettacoli in cui, "con l'ipocrita copertura dello scherzo e del divertimento, viene propinata la più interminabile delle litanie, recitato il più ineccepibile dei rosari": il martellamento pubblicitario. E non ha naturalmente mancato di sondare l'universo dei bambini, veri "professionisti" in materia, rivelandone le regole e i meccanismi più nascosti: tra videogame, che generano piccoli alienati virtuali, e Barbie con seni prosperosi e centinaia di accessori, che risparmiano alle bambine persino la fatica di immaginarsi grandi. Nella nostra civiltà, il gioco è diventato innanzitutto un colossale affare economico togliendo di mezzo il più ricco (ma il meno costoso) dei trastulli: la fantasia. "Giocare per forza" ci preannuncia (e ci invita a combattere) un futuro tragicomico in cui il divertimento ammazzerà la creatività, premierà la passività, esalterà la ripetizione e mortificherà l'intelligenza: un mondo in cui saremo alla mercé dei burattinai dell'entertainment.