Personalità di spicco della giovane narrativa americana, segnalatosi con due romanzi ("L'intuizionista" e "John Henry Festival") che gli hanno permesso, appena trentenne, di essere annoverato tra i migliori 'black writers' della letteratura contemporanea, Colson Whitehead volge ora il suo sguardo sulla città più mitica al mondo, la città che 'non dorme mai' e che più eccita il nostro immaginario. In una serie di folgoranti 'piani sequenza' su altrettanti punti topici di New York (da Times Square al ponte di Brooklyn, dalla metropolitana all'aeroporto JFK), caustici ed eloquenti come le foto di Diane Arbus, Whitehead ci offre una visione nel profondo della Grande Mela, ne ricrea l'esuberanza, il caos, la promessa e il dolore. Un panorama interiore costruito su un alternarsi jazzistico di voci, che è il modo in cui tutti, residenti e ultimi arrivati, sperimentano questa città. E così "Il colosso di New York" si trasforma sotto i nostri occhi in un canto d'amore, una vivace, intelligente, intensa 'ballata' dedicata alla città più 'disponibile' che si conosca, un poema in prosa dal ritmo spezzato e accattivante in cui Colson Whitehead si dimostra scrittore di primissima grandezza. C'è un poeta dentro queste pagine, un uomo dotato di visione, capace di mettere sulle cose uno sguardo profondo, di penetrare nelle fessure di una realtà sfaccettata e di tradurre il tutto in parole. Alla fine, è il nostro occhio, il nostro modo di guardare a uscirne trasformato.
Esuberante come Walt Whitman e sintetico come Emily Dickinson, un giovane romanziere perde i cinque sensi nella sua New York e dà libero sfogo al sesto. Pura poesia. (Kirkus Reviews)
Colson Whitehead è uno scrittore e giornalista americano nato il 6 novembre 1969 a New York, ma ha vissuto a Manhattan buona parte della sua vita.
La sua famiglia ha una società di reclutamento di dirigenti e quindi mastica da subito il successo imprenditoriale che lo porterà a frequentare le più prestigiose scuole. Frequenta la Trinity School a Manhattan e si laurea all'Università di Harvard nel 1991. Lavora inizialmente per la rivista Village Voice e nel frattempo inizia a comporre le prime