Sposata da cinque anni con il conte von Arnim, ben più anziano di lei e prussiano fino al midollo, Elizabeth abbandona la caotica Berlino per Nassenheide, enorme tenuta in Pomerania. Si innamora della pace, dell'isolamento del luogo: il tetro convento secentesco viene ripristinato, come pure il vasto e derelitto giardino che lo circonda. Il libro, che viene pubblicato anonimo nel 1898, e con grande successo (tanto da spingere l'autrice a firmare le successive opere con "Elizabeth"), nasce in questa oasi, ed è profondamente legato alla vicenda biografica della giovane Inglese trapiantata in Germania. Ma non si cerchino, in queste pagine, l'idillio o il romanzo pastorale: "Il giardino di Elizabeth" non è frutto di torpore e abbandono; nemmeno tradisce debiti verso l'estetismo tardoedoardiano. Nel giardino (lo ammirerà estasiato E. M. Forster, insegnante privato a Nassenheide nel 1904) Elizabeth legge, sogna, prepara la sua carriera di scrittrice. Nella cura delle piante e dei fiori, nella maternità, nel trascorrere delle stagioni, nella fuga dalla distruttività dei rapporti sociali, Elizabeth sente autentica la determinazione a essere qualcosa di più di una buona moglie tedesca. La natura, come l'uomo, deve essere libera. E sotto le mentite e raffinate spoglie di un inno alla intensa bellezza della vegetazione, una donna più avanti del suo tempo ci parla di un modo - così moderno - di vivere il conflitto tra libertà e oppressione.