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Una notte d'agosto. Quattro boati. Serbatoi da 90.000 tonnellate di greggio che saltano in aria. Un 'fungo atomico' nero sormontato da un candido cappello di anidride solforosa pronta a riversare una pioggia di acido sulla città. Ma in quei giorni non piovette e non soffiò la bora. Una fortuna sfacciata che impedì la reazione a catena da un serbatoio all'altro, come speravano i sabotatori.
I triestini non più giovani ancora oggi ricordano, 43 anni dopo, con un misto di inquietudine e timore. Ma pochissimi conoscono la vera storia. Perché l'apocalisse sfiorata al deposito costiero della SIOT, piana di San Dorligo presso Trieste, ore 3 circa del 4 agosto 1972, è stata dimenticata. Messa da parte come uno scherzo della Storia. E invece di Storia ne è passata tanta in quei giorni a Trieste.
Fu il primo attentato palestinese in Italia, lo portò a termine Settembre Nero, che solo un mese dopo seminò la morte alle Olimpiadi di Monaco. Ma fu anche un attentato di cui non si sono mai saputi con precisione mandanti, fiancheggiatori e neppure tutti gli esecutori. Perché dalla Francia, dove si erano rifugiati, non arrivò uno straccio di aiuto.
Trieste fu la prima di una serie di azioni che poi costrinsero il governo italiano a stringere un accordo segreto con i movimenti palestinesi, il cosiddetto Lodo Moro, punto di svolta delle vicende italiane di fine Novecento, ma di cui ancora oggi si fa una dannata fatica a parlare. E in pieno Lodo Moro si celebrarono, in assoluta sordina, i due processi sull'attentato alla SIOT, conclusisi con una sentenza-barzelletta. Una vicenda che Giuliano Sadar ha dipanato partendo dai documenti dell'epoca, dalle testimonianze, dalle sentenze, dalle carte scovate nell'Archivio storico del Senato che custodisce gli atti integrali delle commissioni Stragi, Moro e Mitrokhin. Ne è uscito fuori un racconto avvincente, in cui una storia solo apparentemente minore incrocia le piste nascoste che ancora oggi impediscono all'Italia di definirsi un paese normale.

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Il grande fuoco
 

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