Tutti sanno che Giobbe, "uomo di perfetta purità", fu colpito da sventure e, infine, ulcerato nel corpo dal Male, circondato da tre amici, si rivolse al Signore per chiedere ragione delle sue sofferenze. "Iob dice che i buoni non vivono e che Dio li fa ingiustamente morire. Gli amici di Iob dicono che i cattivi non vivono e che il Signore li fa giustamente morire". Lo scandaloso processo che Giobbe, il 'giusto', osa intentare al Signore è un'immensa pietra d'inciampo che è fatale incontrare e che ogni lettura obbliga ad aggirare, con immensa fatica e meraviglia. Guido Ceronetti, con la sua versione e il suo commento, ha cercato, nell'oscurità e nell'enigma, di offrire in tutta la loro forza oscurità ed enigmi, perché questo testo, che nessuna ragione potrà mai accettare, appaia 'nuovamente' inaccettabile, arricchito dalla scomparsa di quelle tante mitigazioni esegetiche nelle quali secoli di devozioni ed empietà lo hanno avvolto. Testo principe sul male, "Il libro di Giobbe" ci assicura che il male non è quella burocratica "privazione del bene" a cui teologi grandissimi lo hanno voluto ridurre, ma inarrestabile ruota del mondo; che vera offesa recano innanzitutto gli zelanti, in quanto hanno la risibile pretesa di bonificare l'esistenza, e con ciò portano morte; che "la salvezza del bene è edificante, quella del male essenziale". Ma innumerevoli sono le maschere del testo sacro, e l'inflessibile manifestarsi della necessità del Male si congiunge - è uno dei segreti del "Libro di Giobbe" - con l'affermazione assoluta del 'possesso di Dio' presente. Così l'accusato Dio, a cui Giobbe può rivolgersi con il suo 'tu' brutale (di una brutalità quale forse nessun'altra religione che l'ebraica ha tollerato) grazie soltanto alla grandiosa finzione di essere l'Odiatissimo-Amatissimo, speciale oggetto, per assurdo, della potenza divina e perciò specchio della sua divina doppiezza - l'accusato Dio, quando alla fine del Libro, dopo i discorsi di Giobbe e dei suoi amici.