"Il Porto sepolto", 1916, non è solo il primo libro di poesie di Ungaretti, quello dei versicoli brevi, depositati nel bianco della pagina, che ci hanno formati sui banchi di scuola: "C'era una volta", "Sono una creatura", "San Martino del Carso", "Fratelli". Molto di più è il nucleo generatore dei miti e della poetica ungarettiana: "Sono un poeta/ un grido unanime/ sono un grumo di sogni", ben oltre il confluire della plaquette del 1916 nella più vasta raccolta "Allegria di naufragi". Ancor più è il nocciolo testuale 'invariante', illeso, in un poeta che ha fatto delle varianti un tormento, e talvolta scialo. Nell'abbondare di edizioni critiche prive di commento, piuttosto mappe che testi, la ripubblicazione del "Porto sepolto" nella primitiva, e rarissima, stesura originaria del 1916, accompagnandolo con un commento che ne proietta l'intertesto sino alle poesie della maturità, è riportate il nostro Novecento poetico alle sue radici, alla "limpida meraviglia/ di un delirante fermento".