In uno sperduto villaggio del profondo Sud degli Stati Uniti, Miss Amelia, una donna matura e indipendente, dai tratti spigolosi e mascolini, si guadagna da vivere con il suo emporio ma soprattutto producendo e vendendo liquore di contrabbando. La sua esistenza cambia con l'arrivo del cugino Lymon, un nano capace di ingraziarsi l'intero paese, e di convincere Amelia a trasformare l'emporio in uno scalcinato caffè, punto di ritrovo per la comunità. La felicità di Amelia è però di breve durata: il ritorno dell'ex marito Marvin, cacciato di casa per ragioni non chiare la prima notte di nozze, e ora appena uscito di prigione, innesca una spirale di conflitti e violenze che cambierà la vita della donna e dello stesso villaggio.
La nostra recensione
Che questa è una storia d’amore risulta chiaro fin dall’inizio; e che si tratta di una storia d’amore travolgente ed eccentrica lo si capisce dai personaggi che ne sono coinvolti: Miss Amelia, imponente, alta quasi un metro e novanta, violenta e autoritaria; l’ex marito Marvin, perdutamente innamorato di lei, cacciato di casa subito dopo le nozze e che ritorna dalla galera per bruciare in un attimo la felicità della donna; Cugino Lymon, un nano gobbo e sgraziato eppure così aperto e gioviale da conquistare non solo il cuore duro di Amelia, ma perfino l’intero desolato paese dove si svolge la vicenda. C’è un fascino seduttivo in questi personaggi grotteschi e al contempo quasi fiabeschi, un fascino che per funzionare non deve per forza essere compreso dagli altri abitanti del paese, che infatti assistono sbalorditi. Il gioco narrativo è tutto lì, in quell’immenso vuoto riempito da un amore inspiegabile, incredibile e silenzioso. Questa novella, o romanzo breve che dir si voglia, pubblicata nel 1951, ancora oggi sa esercitare una forte attrazione, sia per l’intensità emotiva che filtra dai personaggi, sia per la capacità di Carson McCullers di osservare ogni minima variazione dell’animo e trarne un’allegoria dell’amore, sfuggente, irrazionale, apparente. La ballata del caffè triste è una storia che avrebbe potuto certamente scrivere anche il Simenon degli anni americani, proprio perché mette a nudo la fragilità dei rapporti, la loro occasionalità opportunistica e la stanca, indolente rassegnazione all’abbandono che segue spesso l’asimmetria dell’amore. Eppure, nella malinconica tristezza di questa storia d’amore, l’autrice non rinuncia a infilare qua e là, sempre con eleganza quasi noncurante, brevi lampi di languida speranza. Un aspetto che si evidenzia con la stessa intensità nei sei racconti che completano questo volume, brevi, apodittici, fulminei ritratti della distanza che corre tra l’individuo e la sua proiezione fantastica.