Insieme opera di storia e di sociologia del lavoro, di filosofia morale ed esistenziale, di critica sociale ed economica, questo libro è stato accolto come punto di riferimento obbligato nel dibattito sulla trasformazione postmoderna. Un termine che Gorz rifiuta, preferendo vedere nelle tanto conclamate 'fine della modernità' e 'crisi della ragione', la crisi (e la fine) di una razionalità economica che si rovescia ormai nel suo contrario. L'analisi delle metamorfosi del lavoro in seguito all'introduzione delle nuove tecnologie, con conseguente spaccatura verticale delle vecchie aggregazioni sociali (le 'classi'), porta all' individuazione di nuove élites iperattive, in grado di profittare dei servizi, anzi del nuovo 'lavoro servile', di quanti risultano espulsi dalle attività produttive. Più in generale porta all'individuazione del paradosso di una economia dell'abbondanza basata sulla riproduzione illimitata della scarsità e di una organizzazione del lavoro che, in nome del tempo libero, riduce ad attività remunerata ogni forma di cooperazione familiare e di gruppo. Per non parlare della sfera biologica individuale, dove la prostituzione si estende ormai fino alla maternità per procura. Al di fuori dei vecchi ideologismi politici di cui è stato uno dei primi critici, Gorz muove da un'etica dell'autonomia che ricerca per quali vie la società possa ristabilire il proprio controllo sull'economia.