Quasi ogni giorno in Israele ci sono cerimonie funebri per le vittime del terrorismo. Persone uccise per il solo fatto di essere ebree. In banca, nei centri commerciali, in pizzeria. Sul pullman, davanti a un cinema, per strada. Da sole e in gruppo. Giovani e vecchi. Uomini e donne. Tutti condannati dalla furia del fondamentalismo islamico, bersagli di un odio quotidianamente alimentato da decenni. Questo lento e inesorabile stillicidio di morti migliaia e migliaia - è il risultato di una guerra che ha avuto inizio nel 1972, alle Olimpiadi di Monaco, quando undici atleti della delegazione israeliana vennero trucidati da un commando di guerriglieri dell'organizzazione palestinese Settembre Nero. Da allora ogni cittadino di Israele sa che può morire in qualsiasi istante. Giulio Meotti racconta le storie dei "caduti in battaglia" di questa guerra condotta a fari spenti dal terrorismo islamico, dissimulata tra i fatti di cronaca della "questione palestinese".
Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri d'Israele
Anonimo - 15/02/2010 14:51
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Nel ricomporre ogni figura, raccogliendone con rispetto ciascun frammento, attraverso gl'incontri con familiari e amici, ricostruendo, fino all'ultimo tragico istante, quelle presenze spezzate, l'A. narra una cinquantina di storie, tutte emblematiche per diversi aspetti, talora intrecciate l'una all'altra, per lo più legate da un filo d'Arianna paradossale, che porta, in un tragico cammino a ritroso, alla Shoah, vissuta direttamente dagli uccisi o dai loro congiunti. Egli non si addentra in disquisizioni di carattere politico su un tema i cui aspetti di fondo non sono di carattere territoriale, bensì religioso e direi esistenziale; tuttavia compie una precisa scelta di campo, senza timore di apparire politicamente scorretto. E' un'opera di giustizia nei confronti di un attore della vicenda, il popolo israeliano, per lo più trascurato dagli organi di informazione. Il giornalista svolge il suo compito con la passione di chi non è parte per nascita di quel mondo al quale si è avvicinato per scrivere quest'opera, tra l'altro documentatissima e ricca di significative immagini, frutto di una ricerca durata cinque anni. "Martiri" perché testimoni del loro impegno nella quotidianità, quella vita normale che il nemico vorrebbe toglierti per sempre. Ma è proprio un certo spirito smitizzante israeliano -unito ad un ethos nazionale in grado di far sì che le tante "tribù", sovente in contrasto tra loro, di cui è composto il Popolo di Israele riescano ad essere un tutt'uno- che consentirà di continuare a danzare, com'è scritto sul monumento commemorativo dei 21 adolescenti immigrati dalla Russia, uccisi, la sera dell'1 giugno 2001, davanti alla discoteca sul lungomare di Tel Aviv
Anonimo - 15/02/2010 14:51