Il Discorso sull'indole del piacere e del dolore di Pietro Verri, che qui si ripropone nella stampa milanese del 1781, rappresenta il tentativo appassionato e coerente di indagare lo statuto delle sensazioni attraverso gli strumenti dell'analyse condillachiana e della ragione sperimentale, dando credito all'utopia illuministica di una morale more geometrico costruita per analogia con le leggi della scienza. Ma la ricostruzione rigorosa e partecipe dei meccanismi interiori avviata sulla scorta di Locke, Maupertuis, Hume e Helvétius cede alla fine al «labirinto» della sensibilità e alla «impenetrabil nebbia» delle percezioni più istintive e vitali in cui risuona la voce misteriosa della natura. Dinanzi all'impotenza di quel vasto sistema matematico e probabilistico da cui muoveva la ricerca stessa del Verri, rimane la definizione viva del dolore come motore universale che, attraverso la crisi dei Lumi, giunge fino a Leopardi e a Stendhal.