In questi dieci reportage narrativi apparsi tra il 1962 e il 1966 sul settimanale "Polityka", con l'occhio attento e la profondità di giudizio che gli sono propri Kapuscinski descrive il periodo di rottura nella storia del continente: la nascita di nuovi Stati, i capi che li hanno guidati, la crisi dei primi sistemi politici e le storie della gente comune. Storico per formazione e per passione, Kapuscinski ha osservato ogni cosa sul campo, rischiando talvolta la vita; e questo fa sì che, per quanto gli stessi eventi siano stati narrati da giornalisti di tutto il mondo, nessuno di loro abbia lasciato una testimonianza paragonabile. L'acutezza, la densità, la complessità delle analisi sono quelle che ritroviamo in "Ebano" e "La prima guerra del football". Ma la cosa più straordinaria è che a distanza di quarant'anni questo libro continui a essere fondamentale per chiarire i problemi dell'Africa e, per varie ragioni, resti una delle più importanti testimonianze mondiali della decolonizzazione africana.
La nostra recensione
Se tutta l'Africa fosse unita... Questo era il sogno di Nkruma'h, primo presidente del Ghana indipendente alla vigilia del vertice africano del 1963. Un sogno destinato a rimanere tale, ma anche un segnale chiarissimo del fermento geo-politico di quegli anni cruciali di decolonizzazione, dei quali Ryszard Kapuscinski fu ben più che semplice testimone: ne fu interprete e narratore, non solo cronista. Pochi come lui hanno saputo tradurre in letteratura le tragedie immense che in quegli anni sconvolsero il continente africano. Consapevole fin dal suo arrivo che in Africa poche cose dipendono esclusivamente dall'Africa, Kapuscinski osserva, registra, analizza i fatti, non con fredda e distaccata griglia giornalistica, ma con vera passione, con un'empatia vitale che gli permette di trasferire al lettore tutta l'emozione e, spesso, la commozione che egli stesso sta provando. Kapuscinski fissa tutto questo sulla pagina nel momento stesso in cui l'Africa sta iniziando a esistere, ancora in fase embrionale, mentre si sta formando con un processo pieno di contrasti, dilemmi, conflitti e slanci che per un reporter lucido e attento costituiscono una vera e propria sorgente di idee, impressioni, informazioni. I reportage raccolti in questo libro hanno quasi quarant'anni, ma sono così freschi, partecipi e vivaci che conservano una suggestiva attualità, anche perché molti dei problemi che affliggevano il continente africano sono gli stessi di oggi, al punto che le sue descrizioni e le sue interpretazioni diventano quasi 'fotografie in movimento'. Paolo Rumiz, nel suo ultimo reportage attraverso i luoghi che diedero i natali a Kapuscinski, cita spesso lo scrittore e amico polacco; in effetti, li accomuna una sorprendente affinità, che li vede entrambi capaci di infilarsi negli angoli più nascosti del mondo - dove non battono i riflettori dell'informazione-spettacolo - di attraversarli e raccontarli con la forza trascinante di chi ha visto davvero il volto della gente e ne ha davvero ascoltato le parole. Antonio Strepparola