Un gruppo di bambine di nazionalità diversa, a Idrisia, paese costiero della Sicilia orientale, trasporta nottetempo bisacce di farina fin dentro il cono di un vulcano spento. Lì, nelle viscere della terra, ci sono i panettieri - il cui capo si chiama Salvatore Casaccio - occupati a impastare il pane fragrante che, all'alba, quelle fornarine porteranno in ogni angolo, vicino e lontano, delle terre di Idrisia. Bonaviri rievoca così le radici ancestrali della propria memoria siciliana, ma lo fa senza seguire schemi già noti, le strade battute del recupero antropologico e di quella "ingenuità etnica" che oggi va di moda. La sua è una memoria che parte dalla più rigorosa matrice individuale, per sviluppare poi una narrazione aerea, dolente e trasfigurata in un clima in cui si avvertono tutti i toni e l'estrema delicatezza della fiaba. La storia di Silvinia è anche dura e cruda, come aspro, alla scomparsa della figlia, è il dolore della madre e implacabile la ricerca intrapresa dal padre, che arriva a inoltrarsi nella favolosamente remota New York. Ogni desolazione è comunque riscattata dall'umorismo di Bonaviri, ora ilare e gioioso, ora nero, ma sempre avvolto nella luminosità di una lingua simile a certe nuvolette cavalcate, in primavera, da un sole iridescente.