Questa è la storia di un paese inutile: con o senza di esso, il mondo sarebbe stato e sarebbe sempre lo stesso, eguale a com'è. Da questo paese non è mai passata la Storia, nemmeno per sbaglio o per caso. Questa marginalità, tuttavia, non ha preoccupato o rattristato la gente del luogo; anzi il pensiero di questa condizione non ha mai sfiorato la loro mente. Nel microcosmo di Latisana, dove si svolge la narrazione, l'estraneità alla storia del mondo però è solo apparente. La cultura della tradizione, della terra, della famiglia, della ripetizione di riti millenari è sempre stata motivo di orgoglio, almeno fino a qualche decina d'anni fa. Anche qui, l'isolamento dal mondo e il senso di appartenenza a una piccola comunità hanno cominciato a vacillare e a dissolversi quando la gente, tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta, ha cominciato a vendere il cavallo per comprarsi l'automobile, a guardare la televisione e a usare il telefono. E così un mondo che era durato per secoli, forse millenni, più o meno uguale a se stesso, si spegne per sempre, rotolando verso l'oblio, confondendosi nel tutto. Ed è per questo che Nino Orlandi dà corpo a quel luogo della fantasia, lo incarna in un quadro dove contano i dettagli più minuti, le sciabolate di luce che illuminano i gesti minori e ci convoca a fare i conti con quello che ognuno di noi ha perso nelle Latisane della vita: il mondo che è cambiato, si è perso, non è più quello.