Il laboratorio pirandelliano è stato soggetto ad una vera e propria distruzione. Ad abbozzi e scartafacci, a prove di stesura o a tappe elaborative tocca in sorte, il più delle volte, il cestino dei rifiuti. E mentre l'altro sempre mutevole corregge e ricorregge quanto ha già dato alle stampe, i materiali dell'officina, in funzione anche a ritmo prodigioso, svaniscono nel nulla. A meno che non si tratti di certi germi dai quali Pirandello sa far nascere i soggetti delle opere. Sequestrato dalla propria arte, il solerte scrittore fa leva su alcuni inossidabili attrezzi che lo soccorrono immancabilmente. Sono i taccuini, quadernetti tascabili, questi sì conservati con cura gelosa. Le miriadi di frammenti che tesaurizzano riflettono autore e personaggi in un puzzle da ricomporre secondo infiniti disegni possibili. Riemerso solo ora, grazie ad un meritorio salvataggio, il Taccuino segreto rappresenta il più rilevante lavoro di recupero del singolare laboratorio dello scrittore. Come lavorava Pirandello? Allo spinoso interrogativo è oggi possibile rispondere al di là delle congetture. Il Taccuino segreto, che dalla maturità giunge fino alle soglie della morte, accoglie dunque i canovacci che il recluso frustrato recita a tutti i costi, sia che si tratti di temporeggiare con il racconto sia che infine il teatro gli spalanchi quelle porte che per anni gli ha sbattuto sulle dita. Libresche o carpite sul campo, una ridda di battute in cerca d'autore giacciono qui in un'attesa sempre coronata: non c'è pagina, non c'è lacerto o verso che dal Taccuino non travasi in questa o quell'opera. Qui non abbiamo né un diario né uno zibaldone, ma l'altro diario e l'altro zibaldone del Pirandello che non sa parlare di sé se non attraverso la propria opera.