«È un bellissimo libro. Bellissimo. Uno dei più bei libri italiani del dopoguerra, uno dei più bei libri degli ultimi anni in senso assoluto.» Italo Calvino «La trama di Una vita violenta mi si è fulmineamente delineata una sera del '53 o '54... C'era un'aria fradicia e dolente... Camminavo nel fango. E lì, alla fermata dell'autobus che svolta verso Pietralata, ho conosciuto Tommaso. Non si chiamava Tommaso: ma era identico, di faccia, a come poi l'ho dipinto... Come spesso usano fare i giovani romani, prese subito confidenza: e, in pochi minuti mi raccontò tutta la sua storia.» (Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, 1966)
Di PPP ho letto diverse opere. Quella da me preferita è SCRITTI CORSAR. La peggiore? il suo PETROLIO. Ma non si possono fare paragoni, neppure paralleli tra opere così differenti. Eppoi su PPP siamo chiamati ad emettere plurimi giudizi od opinioni secondo il genere delle sue creazioni. Lo preferiamo come romanziere, come saggista, come poeta? O come regista? Meglio LETTERE LUTERANE o LE CENERI DI GRAMSCI? O nell' ambito della stessa tipologia: promuoviamo UCCELLACCI e UCCELLINI (ve lo ricordate? Quello con il grande Totò, ndr) e cassiamo IL VANGELO SECONDO MATTEO? Forse. Tornando a UNA VITA VIOLENTA, direi che qui Pier Paolo Pasolini accende la luce sul disagio della borgata romana illuminando il lettore circa le condizioni sociali di migliaia di persone che affollano la periferia italiana. Periferia intesa non in senso toponomastico ma sociologicamente identificata come quella fetta di popolazione costretta a condurre una vita borderline economicamente, culturalmente e di assenza partecipativa nel perimetro della propria città ed estensivamente della società stessa. I protagonisti, anime perse in un teatro di degrado urbano, si chiamano Tommaso, Lello, Zucabbo. Non sono zombie, vivono e sono ovunque, molto più vicini a noi di quello che immaginiamo. Ciò che accade loro in borgata potrebbe essere il film già visto girato in migliaia di perifierie italiane. A Pasolini va riconosciuta una sensibilità sopra le righe nel percepire e descrivere sentimenti, stati d'animo, ambizioni negate, sogni e passioni di coloro che nel loro intimo sanno di essere nati perdenti sentendosi comunque intimamente più vittime di situazioni ambientali, circostanze e contingenze negative che consapevoli carnefici del proprio destino. Insomma, se proprio li si volesse condannare per la condotta a dir poco disordinata e per molti aspetti disponorevole, lo si faccia concedendo loro tutte le attenuanti del caso. Comprensibile l'intenzione di Pasolini di calarsi totalmente nel ruolo dei protagonisti, infarcendo il testo con espressioni in stretto dialetto capitolino. Ciò costringe d'altra parte il lettore dotato di minor capacità interpretativa (sto parlando di me stesso, ndr) a consultare di tanto in tanto il glossarietto "romanesco-italiano" che con preveggenza l'Autore ha realizzato e posizionato in fondo al volume. La trama di UNA VITA VIOLENTA potrebbe essere piatto succulento per una sceneggiatura di film dal sapore neorealista, un assaggio di quel mondo a cui Pasolini si avvicinò odorandone il profumo dissacratore ma che si rivelò poi per lui un piatto mortale.
Stefano Vaglio Laurin - 02/01/2021 19:54