Secondo una fulminante metafora di Wittgenstein, un paesaggio deve essere assimilato a un'opera di Shakespeare. Il paesaggio diventa il risultato di un processo di interpretazione senza fine, al quale concorrono non soltanto le sue caratteristiche "oggettive" e intrinseche, ma anche (e potremmo dire soprattutto) gli apporti creativi e costruttivi di coloro che diventano capaci di leggerlo come si legge un classico della letteratura, appunto. Ed è in questo senso che Wittgenstein, concludendo il "circolo virtuoso" della sua argomentazione, paragona il lavoro dell'architetto a quello del filosofo, sostenendo che entrambi sono chiamati a compiere, prima di tutto, un'analisi su se stessi e a imparare a esercitare la profonda "arte dello sguardo".