Di qualsiasi tema si occupasse Edgar Wind sapeva risalire dall'immagine artistica non solo a certi significati che la sotttendono, ma ben più dietro, sino a quella misteriosa macchina della mente da cui le immagini scaturiscono. E in questo si può dire che Wind sia stato il più illuminato prosecutore dell'opera di Aby Warburg. Questo volume raccoglie una serie di importanti saggi apparsi sotto lo stesso titolo nel 1983, con l'aggiunta della monografia sulla "Tempesta" di Giorgione, che è del 1969. I temi sono svariati - e vi si intrecciano molte fila di tutta la ricerca di Wind: dall'analisi di opere di Giorgione, Botticelli, Donatello sino alla filosofia dell'arte di Platone, o alla visione simbolica e religiosa di Rouault e Matisse. Ma la domanda costante - e l'intenzione pervasiva - di tutto il libro è quella che ci appare dalla sua pagina iniziale, dove Wind ha osato spiegare, con memorabile sprezzatura, a che cosa servono i simboli: "Un autore molto conosciuto, che ostenta di non amare l'uso dei simboli; si dice abbia chiesto: 'Che cos'è un simbolo? Dire una cosa e intenderne un'altra. Perché non dirla direttamente?'". Per la semplice ragione che certi fenomeni tendono a dissolversi se li avviciniamo senza cerimonie. Dire pane al pane può essere un'ottima abitudine, ma non avrebbe senso fingere che il discorso debba limitarsi a definire la natura del pane. Il sacro, il sublime, l'inquietante, il leggiadro, il comico, il compassionevole, sono argomenti inafferabili che può darsi svaniscano se cerchiamo di definirli direttamente. Un simbolo, invece, dice una cosa e ne intende un'altra, quindi trattiene ciò che una definizione semplice e chiara distruggerebbe. "Noi siamo della materia di cui sono fatti i sogni, e la nostra piccola vita si chiude in un sonno".