Una commedia per difendere le donne? O per ribadirne la condanna, secondo i motivi topici della misoginia antica? La risposta è dubbia. Il problema della condizione femminile, assai sentito nella cultura greca del V secolo a.C. grazie alle sollecitazioni del pensiero sofistico, appare, ne "La festa delle donne", non più che un pretesto tematico. In realtà, assumendo come invenzione scenica il processo intentato dall'assemblea delle donne contro il poeta Euripide colpevole di averle denigrate, Aristofane muove i suoi strali assai più sul piano lettersario che su quello della polemica sociale. Il suo vero bersglio è proprio Euripide, le cui opere sono usate come serbatoio del materiale che, variamente parodiato, costituisce la trama delle peripezie comiche. Estrapolati dal loro contesto, calati, con abile tecnica mimetica, nella realtà fittizia dell'Atene del tempo, personaggi e situazioni del teatro euripideo emergono con un rilievo paradossale in un susseguirsi di equivoci e di beffarde allusioni. E' la reazione polemica del conservatore Aristofane contro tutte le forme della cultura nuova che gli sembrano minacciare la saldezza dei valori tradizionali; ma è anche una prova ulteriore della sua genialità artistica. Scintillante di trovate e di effetti, la commedia si segnala particolarmente per l'originalità della struttura, in cui, come ben mostra l'introduzione di Guido Paduano, i livelli di finzione si alternano e si sovrappongono, generando ardite soluzioni da "metateatro".