Il difficile incontro tra storia che si fa e storia che si pensa caratterizzò molto l'opera di Gioacchino Volpe, storico che, nell'ambito dell'esperienza milanese (1906-1924), elaborò in maniera appassionata e originale un pensiero che molto deve alla consapevolezza dell'autonomo slancio dell'esperienza religiosa rinnovatrice della società medioevale, cercando di dare finitezza al tutto attraverso il cambiamento delle strutture accademiche, nel segno di una libertà 'pedagogica'. E da qui prende spunto la difesa della libertà di coscienza, incardinata in un contesto storico, sociologico e culturale (la guerra, vissuta dal Nostro in modo assai valoroso, l'incapacità della classe politica dirigente italiana di creare strutture volte al rinnovamento, più in generale la crisi morale dell'immediato dopoguerra) poco fortunato, ma soprattutto imbrigliato nell'endemico immobilismo della nostra classe dirigente. Volpe giunge così ad una vivace rielaborazione storica del nostro Risorgimento, alla richiesta di una nuova politica atta a sostenere il cammino del popolo italiano, alla ricerca di un nazionalismo che affondasse le sue radici nel passato crispino e che tendesse ad una politica estera protezionistica nel bacino del mediterraneo, ma anche al drammatico scontro con Croce. Nell'ultima fase milanese il Volpe ci fornisce un quadro delle istituzioni accademiche e le organizzazioni di cultura della città, analizzandole, in prospettiva, in un contesto di autonomia economica, ma anche e soprattutto politica.