Il 20 febbraio 1973 Dimitar Pesev si spegneva a Sofia, povero e dimenticato da tutti. Eppure era stato un uomo importante, da vicepresidente del Parlamento bulgaro, aveva compiuto un atto pressoché unico nella storia dell'Olocausto. Nel marzo del 1943, informato dell'imminente deportazione di 48.000 ebrei bulgari, costrinse re Boris III e il governo a ordinare che i treni per Auschwitz non partissero. Fu l'unica personalità di rilievo di una nazione filotedesca a rompere il clima di omertà sulle deportazioni. Combatté contro i nazisti e vinse: gli ebrei bulgari si salvarono. Scomparso il re quello stesso anno, Pesev riscoprì il valore della democrazia e denunciò i partigiani comunisti, che volevano consegnare la Bulgaria ai russi. Atto che gli costò, dopo l'invasione dell'Armata rossa, un duro processo e infine la perdita dell'identità civile. La vicenda di quest'uomo, capace di modificare con un atto di coraggio il corso della storia, viene qui raccontata con l'analisi rigorosa di documenti inediti, e con partecipazione. Quasi come un'esemplare "favola moderna", ricca di un intenso significato morale.