Dopo il sacco di Roma per mano del visigoto Alarico, nel 410, uno dei piú grandi geni di tutti i tempi si piegò pensoso sulla tragedia occorsa e sul suo riposto significato. Sul mistero insondabile della storia. Come poteva essere stata violata l'Alma Roma, il Caput Mundi, la sacra città che ospitava tutti gli dèi dell'universo e alla quale guardavano tutti i popoli? Come poteva Dio onnipotente, che aveva nella Sua saggezza permesso l'edificazione dell'impero, consentir poi a quell'umiliazione, a quella rovina? In che modo essa poteva mai rientrare nel piano provvidenziale della Salvezza? E quali errori, quali peccati degli uomini avevano mai potuto renderla possibile? L'uomo straordinario che con tanta lucidità si poneva questi problemi era Aurelio Agostino: un pensatore senza il quale cristianesimo e modernità non sarebbero neppure concepibili. Dalla sua meditazione nacque il "De Civitate Dei", uno dei fondamenti del nostro pensiero politico e della nostra capacità d'intendere e di analizzare i rapporti fra la storia, l'etica, il vivere civile e l'animo umano. New York non è forse, nell'oggi, paragonabile a quel che Roma fu nell'antichità. E non mi pare di scorgere all'orizzonte dei nostri tempi nessuno che possa neppur lontanamente venir paragonato a sant'Agostino. Tuttavia, forse, una riflessione simile, 'mutatis mutandis', alla sua non sarebbe stata inopportuna. Dopo la tragedia dell'11 settembre del 2001 - dopo la quale è stato detto che "nulla sarà piú come prima" -, una reazione energica, una risposta rigorosa all'infamia terroristica era indispensabile. (Dalla 'Prefazione' di Franco Cardini)