"Vurìs fa il partigìàn tuta la vita", disse un compagno a paolo Murialdi quando si sentiva già aria di vittoria. Per Murialdi rivisitare oggi quel periodo fra il '43 e il '45 è l'occasione per rievocare non solo gli eventi che hanno segnato il triangolo di colline e montagne fra Voghera, Stradella e il passo di Penice, ma anche un'atmosfera morale fatta di amicizie, sodalizi, prove. Molte le pagine dedicate alla guerriglia, ai rastrellamenti, agli agguati alle azioni, fino all'ingresso in Milano insorta e alla missione "più grossa del Monte Bianco", affidata al suo comando, quella di eseguire le condanne a morte di Mussolini e dei gerarchi di Salò catturati sul lago di Como.
Si tratta di una testimonianza scarna, essenziale e senza unombra di retorica sulla guerra partigiana nellOltrepo e sul clima che si respirava in Italia subito dopo la liberazione. Non per questo manca di sentimento, se vogliamo anche di parte, intendendo di parte in senso positivo: una giusta rivendicazione di chi fu partigiano, di chi aveva compiuto una scelta, di certo la più scomoda, senza aspettare levoluzione degli avvenimenti e della guerra. Non dimentichiamo che chi sceglieva di combattere contro tedeschi e fascisti era considerato disertore, sapeva coscientemente di mettere in gioco la vita. Venivano chiamati banditi da fascisti e repubblichini, oggi sicuramente sarebbero stati tacciati di terrorismo, ed invece, pur tra mille contraddizioni, combattevano per la democrazia. Questo dovrebbe indurci a riflettere.Prima di fare processi alla Resistenza si dovrebbe cercare di rientrare nei sentimenti e nel clima di allora, ricordare le violenze dei tedeschi e dei fascisti nostrani, più estreme e crudeli proprio nel momento dellimminente loro crollo.
Agnese - 04/12/2002 22:33