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Umberto Eco: "Io, Baudolino, Internet e il mio sogno di  fare il pianista in un piano bar"

Baudolino, romanzo di Umberto EcoAnche noi avevamo incontrato Umberto Eco in occasione dell'uscita di Baudolino, uno dei suoi romanzi più divertenti. Nel 2000 infatti la nostra Raffaella Ciuffreda era andata a trovare Eco nella sua casa di Milano, di fronte al Castello Sforzesco, e nella chiacchierata con il Professore sono venuti fuori anche la vita quotidiana dello scrittore, il successo del Nome della Rosa, Internet, il natìo Piemonte, l'analfabetismo di ritorno, varie curiosità e una confessione davvero inattesa. Ripubblichiamo ora quella quell'intervista quale nostro modesto omaggio al più grande scrittore italiano del nostro tempo. Buona lettura.
 

Com’è nata l’idea di Baudolino?

In modo molto strano. Mentre per gli altri romanzi sono partito da un'idea chiara subito all’inizio, questa volta pensavo a un'altra faccenda, che doveva svolgersi nel mondo contemporaneo, con la fondazione di un nuovo giornale, e doveva intitolarsi Numero zero (che è poi uscito nel 2015, N.d.R). La menzogna doveva essere il nucleo centrale del romanzo, e la vicenda "gialla" era fondata su un problema che si ponevano i medievali: "Utrum chimera bombinans in vacuo possit comedere secundas intentiones", cioè "Se una chimera che vola nel vuoto può mangiare i concetti". Ero perduto in questo pensiero, avevo persino chiesto ad amici scienziati come realizzare il vuoto e un mostro meccanico che riuscisse a volarci dentro, quando mi è venuta l’idea di situare questa vicenda ai tempi della fondazione della mia città natale, Alessandria, e di legarla alla storia del Prete Gianni, che mi aveva tanto incuriosito molti anni fa. È passato altro tempo prima di convincermi ad abbandonare questa storia della chimera e del vuoto e di andare avanti con l’altra. Poi ho cominciato ad affezionarmi al mio personaggio, ed è nato Baudolino.

Baudolino è un personaggio di una simpatia travolgente: il lettore ha la sensazione che lei, Eco, si sia divertito moltissimo a raccontarlo. È così?

Certamente. E mi sono divertito molto a inventare il linguaggio basso di Baudolino, che non è solo quello delle prime dieci pagine, ma è anche quello che parla con i suoi compaesani. Però è stato uno dei libri che mi ha fatto stare più male.

Stare male? Perchè?

All’inizio non riuscivo a trovare il modo con cui far raccontare la storia a questo bugiardo. Poi ho trovato questa struttura abbastanza complessa, che mi è servita a confondere le idee circa l’attendibilità del racconto. Ho cercato di mettere il lettore nella stessa condizione di Niceta Coniate, lo storico che ascolta i racconti di Baudolino e non sa mai se gli dice la verità o no. Dopo circa tre anni, a metà romanzo, quando muore Federico Barbarossa, mi sono bloccato per quasi un anno. In quel punto dovevano avvenire delle vicende che alla fine del romanzo avrei ripreso e riscoperto, per creare la soluzione del mistero. Se non fossi riuscito a concatenare bene certi avvenimenti, non sarei riuscito ad andare avanti. Nel frattempo continuavo a pensare all’idea dalla quale ero partito, cioè di far visitare a Baudolino il regno misterioso del Prete Gianni e di fargli incontrare la giovane Ipazia. Quando finalmente mi sono sbloccato, ho concluso il romanzo in tre mesi. Ai primi di agosto il libro era finito, contravvenendo per la prima volta alla regola di terminarlo, come tutti gli altri, il 5 gennaio, il giorno del mio compleanno. Tre giorni dopo è nato il mio primo nipotino, l’8 agosto, e allora mi sono reso conto che questa volta avevo scritto un libro per il compleanno di mio nipote e non per il mio.

Alcuni critici pensano che dietro a Baudolino si nasconda Umberto Eco e la sua visione del mondo.

Il nome della rosa, di Umberto EcoAndare a cercare dietro ogni personaggio di un romanzo il suo autore è un gioco facilissimo. Credo che uno scrittore attribuisca a quasi tutti i suoi personaggi, anche ai più cattivi e ai più antipatici, dei propri pensieri o delle proprie tendenze, ma il massimo sforzo che egli deve fare è quello di oggettivarli: i personaggi devono poter fare quello che vogliono senza che il loro autore si senta troppo coinvolto. È dai tempi de Il nome della rosa che mi fanno questa domanda, alla quale rispondo sempre dicendo che l’autore si identifica soltanto con gli avverbi, cioè con lo stile che cerca di creare, mentre i personaggi devono vivere di vita propria. Questo gioco di vedere sempre l’autore dietro al personaggio, è un gioco al quale si vince e si perde sempre.

Ipazia, a un certo punto, cerca di spiegare a Baudolino l’origine del mondo, Dio.

È un collage di varie filosofie neoplatoniche gnostiche che circolavano nei primi secoli del cristianesimo, e io nel romanzo faccio finta che siano sopravvissute fino al 1100. Dovendo costruire una favola sulle origini del mondo, quella che il mondo sia nato per l’errore di un pasticcione che si era messo a lavorare mentre Dio era voltato da un'altra parte, non mi dispiace.

Le immagini utilizzate in Baudolino descrivere i gesti del lavoro quotidiano, del muratore, del fabbro, del contadino, sono ispirate da opere d’arte medioevali?

Sono ispirate dalle numerose miniature esistenti. Basta guardarle, pensarle, ricordarle e immaginare come lavoravano a quell’epoca.

Per il paesaggio di Baudolino si è ispirato a qualche quadro in particolare?

Per il paesaggio del Piemonte ho un'esperienza diretta, per i misteriosi paesaggi orientali ho lavorato molto di collage. Ho fuso insieme descrizioni cinquecentesche della scoperta del Prete Gianni in Abissinia con immagini della Cappadocia o di altri posti dell’Asia minore. Ho usato moltissimo le enciclopedie e i racconti di viaggio dell’epoca, come Il romanzo di Alessandro. È tutto un collage di paesaggi in parte leggendari e in parte reali.

Ha avuto in mente anche qualche film del passato?

Le immagini cinematografiche, usate come ritmo e montaggio, sicuramente mi influenzano quando scrivo romanzi. In Baudolino, forse, l’arrivo degli unni bianchi che “apparvero, in una lunga linea frontale, così che da lontano sembrava che non avanzassero mai, ma ondeggiassero o sussultassero, per un tempo che parve a tutti lunghissimo”, può far pensare alle immagini del film Il mucchio selvaggio.

Lei ha detto: “Un romanzo di cappa e spada, se gli cambi l’epoca, funziona ancora, e nessuno ti chiede conto; se invece fai un romanzo storico trovi sempre qualcuno che cerca verifiche”. Quale differenza c’è tra i due tipi di romanzo?

Ci sono due tipi di romanzo che pone le sue vicende nella storia: il romanzo di cappa e spada, pensiamo ai Tre moschettieri, e il romanzo storico, per esempio I promessi sposiEntrambi mettono in scena personaggi storici, come Richelieu o Luigi XIII o il Cardinal Federigo, e personaggi fantastici. I personaggi storici devono fare, più o meno, quello che hanno realmente fatto, e l’autore non deve falsificare gli eventi. I personaggi d’invenzione invece si comportano in modo differente. Nel romanzo di cappa e spada spesso non rispecchiano affatto la loro epoca, e probabilmente I tre moschettieri poteva svolgersi anche nel secolo successivo e sarebbe stato lo stesso bellissimo. Nel romanzo storico , al contrario, i personaggi d’invenzione riflettono bene quello che era il loro secolo, ed è anzi proprio attraverso loro che comprendiamo il periodo. Nei Promessi sposi, Renzo, Lucia e Don Abbondio ci aiutano a capire che cos’era il Seicento in Lombardia meglio del Cardinale Federigo Borromeo.

Quando è nato il suo interesse per il Medioevo?

Mi sono laureato su argomenti medievali e, spesso, gli ambienti intellettuali e immaginari che si frequentano a vent’anni diventano i nostri ambienti. Se avessi discusso una tesi sul Settecento, probabilmente avrei scritto romanzi ambientati in quel secolo. Ricordo che quando stavo lavorando alla parte finale della mia tesi, andai per la seconda volta un mese a Parigi e decisi di ritagliarmi dei percorsi cittadini medievali solo, evitando accuratamente tutti gli altri . Con un po’ di buona volontà è ancora possibile. Quindi, un po’ per gioco e un po’ per passione, ho costruito una specie di mondo nel quale mi pareva di essere vissuto.

Umberto Eco ha un sogno irrealizzato?

Mi piacerebbe essere pianista in un piano bar.

E invece quanti milioni di copie ha venduto con i suoi romanzi?

Il pendolo di Foucault, di Umberto EcoVeramente non si sa quante copie complessivamente sono state vendute. L'unico modo per conoscere questo dato con esattezza è quello di pagare i diritti all’autore, ma al tempo del  Nome della rosa tutto l’Oriente, tranne il Giappone, e tutto l’Est sovietico non avevano convenzioni per i diritti e non pagavano. Possono avere stampato cento milioni di copie come cento copie. In Cina sono uscite tre edizioni de Il Nome delle rosa, di cui una a Formosa. Io l'ho saputo da amici che viaggiavano in questo paese. Cuba fa ancora oggi tutte le edizioni pirate che vuole. Ho scoperto che esiste una traduzione iraniana. Anche in paesi dove c’è l’editore riconoscibile, come Germania e Russia, hanno stampato un’edizione pirata del Pendolo di FoucaultIo cerco di avere, di tutte le edizioni, almeno una copia, per il mio archivio.

Per Il nome della rosa si aspettava un successo di queste dimensioni?

No, anche se l’editore Valentino Bompiani, e il direttore editoriale Vittorio Di Giuro, ai quali era piaciuto molto il libro, avevano deciso di stampare 30.000 copie.

Perché, secondo lei, in Italia si legge così poco?

L'Italia è sicuramente uno dei paesi europei che legge meno. Perché siamo così? Le ragioni sono infinite. L'Italia è uscita dall’analfabetismo dilagante alla fine della Seconda guerra mondiale, e l'italiano è stato unificato solo dalla televisione. Gli italiani leggevano pochi quotidiani ma molti settimanali: Epoca, Oggi o Gente. Questo comportamento ha favorito una transizione dai settimanali leggeri alla televisione, e ha influito probabilmente sulle nostre abitudini di lettura.
Però le statistiche vanno prese cum grano salis. Stanno nascendo dappertutto queste enormi librerie, frequentatissime soprattutto dai giovani, che non possono essere solo studenti universitari. Quindi, se da un lato c’è una grande quantità di persone che non leggono neanche un libro all’anno, dall’altro sta salendo, secondo me, una grande percentuale di giovani che in qualche modo sono interessati al libro. Altrimenti queste librerie fallirebbero, e invece funzionano benissimo. Adesso si tratta di stabilire qual è la vera percentuale dei lettori fissi, che non sono quelli che comprano un libro all’anno, e compararla con altri paesi. Certamente si ha l’impressione che in Francia siano molti di più.
La mia esperienza personale poi mi suggerisce un’altra riflessione. Sempre più spesso vengo riconosciuto da persone che una volta erano considerate assolutamente estranee al mondo del libro: il tassista, l’agente di polizia, l’antennista della televisione, il commerciante. Questo mi suggerisce che il numero delle persone che si è avvicinato al libro sia aumentato. E se anche mi riconoscessero perché hanno letto il mio nome su un giornale o settimanale, comunque questo vuol dire che hanno letto il giornale o il settimanale. Come faccia a stare insieme tutto questo con le statistiche, non lo so.

Quindi non crede che un italiano su tre sia semianalfabeta, come dicono certe statistiche?

Ci credo, perché per analfabeta non s’intende che uno non sappia leggere e scrivere: c’è un analfabetismo di ritorno fortissimo.

Si può fare qualcosa per migliorare la situazione?

No, queste cose non si costruiscono. È lo stesso che chiedersi "come si possono rendere gli italiani più leali verso lo Stato, come lo sono gli inglese e i francesi". Dipende da eredità storiche pesantissime. Non è facendo propaganda o pubblicità per il libro che si supera il problema. Benché certamente sarebbe un utilissimo esempio se i media parlassero della lettura come di una attività che fa parte della vita quotidiana, tanto quanto il cibo o lo spettacolo. In una Bustina di Minervaho scritto che i film, americani e italiani, raramente mostrano una coppia di coniugi a letto mentre legge un libro, abitudine questa che credo condividano molte persone. In questo modo si dà al pubblico un’immagine diversa da quella reale.

Ci sono libri che, secondo lei, tutti, giovani e meno giovani, dovrebbero leggere?

Non lo so. Per ciascuno c’è un incontro magico, formativo con un libro. Per me sono stati alcuni, per altri posso essere diversi.

Lei vive tra Bologna, Milano e le Marche. Qual è il luogo dove si sente più felice, dove vive meglio?

Sul treno, quando di fronte a me non c’è una persona che parla al telefonino. Sul treno non ti cercano, non ti disturbano. Se stai leggendo un libro, non ti interrompi. Il momento del viaggio è un momento di grande riflessione. Io sono un grande viaggiatore con, ogni tanto, dei brevi intervalli in terraferma.

Che rapporto ha con il Piemonte, la regione in cui è nato?

Ciascun scrittore ha un rapporto con le proprie origini e, fatalmente, questo rapporto cresce con l’andare avanti negli anni. Oggi i legami con la propria regione sono un po' avvelenati dall’ondata leghista, e il rischio di confondere il regionalismo con il separatismo è molto alto. Roberto Cotroneo ha pubblicato un libro su di me e sugli aspetti autobiografici della mia opera, dove ritrova le mie radici piemontesi anche in testi scritti trenta anni fa.

Che cosa pensa di Internet? Come la usa?

Internet ha sicuramente rivoluzionato il periodo in cui viviamo. Non si possono fare proiezioni o profezie perché noi viviamo dentro Internet da soli sei anni. Prima non sapevamo neanche cosa fosse. Uso Internet come uso l'automobile. Non uso Internet per passare le notti a cercare i siti porno, o le chat o a guardare cosa succede. Lo utilizzo quando cerco qualcosa. Per le mie attività di studioso è sicuramente uno strumento prezioso. L’altra notte avevo bisogno di una citazione latina da Cicerone e in casa avevo solo la traduzione italiana. Ho trovato il testo originale in Internet.

Come trascorre la giornata?

Trascorro la giornata lavorando, anche quando vado a colazione o a cena con qualcuno. Non sono abitudinario, per cui faccio le cose più strane nei momenti più strani, con una regola: fare subito quello che non è urgente non facendo quello che è urgente. Così si ha il senso della trasgressione, dell’adulterio. Lavoro tutto il giorno, ho una serie di lavori accademici strutturati molto intensi, devo fare il lavoro istituzionale e quello libero.
È per questa ragione che passano dai sei agli otto anni tra un romanzo e l'altro. Fortunatamente (risatina finale, N.d.R.).



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