Capitano dell'Inter leggendaria degli anni Sessanta. Interprete più grande al mondo, anzi interprete per antonomasia del ruolo del 'libero', ultimo baluardo davanti al portiere in cento battaglie seguite con il cuore in gola da milioni di spettatori. Leader tattico, ma soprattutto umano e morale della sua squadra. Sindacalista coraggioso e altruista quando i calciatori erano privi di diritti. Livornese purissimo, una famiglia di marinai, un nonno anarchico e un nonno repubblicano costretto all'esilio, Armando Picchi portò nella Grande Inter di Herrera e di Moratti tutto lo spirito ribelle e irriverente, ma anche combattivo e indomabile, ereditato dalla sua terra e dalla sua famiglia. E di quello spirito fece il cemento morale fortissimo della prima squadra italiana che vinse tutto al mondo, vanto della Milano capitale della nuova società industriale. Per questo suo carisma Picchi entrò in contrasto con il Mago, Helenio Herrera, che pure lo aveva voluto capitano. Stessa passione totale per il calcio, stessa voglia di vincere sempre, i due differivano però per la visione del calcio, del denaro e della vita. Il capitano 'con la patria' e l'allenatore senza patria si guardarono alla fine in faccia e non si piacquero. Vinse il più forte, Herrera, che lo fece trasferire in una squadra di provincia, il Varese. La sua carriera di calciatore fu stroncata da un incidente in Nazionale. Ricominciò da allenatore. E sembrò la rivincita su una vita che non gli aveva risparmiato le amarezze. Il più giovane della serie A, alla guida di una Juve lanciata verso un ciclo di vittorie indimenticabile, sposato con una modella bellissima, rappresentò, invidiato e ammirato, lo svecchiamento del mondo del calcio. Lo prese d'improvviso un tumore che lo immobilizzò alle gambe. Accettò quella fine dopo l'ultima, impossibile battaglia: 'La vita mi ha dato tanto', disse, 'ma tutto maledettamente in fretta'. Quando morì, Livorno, la sua città, lo salutò come si salutano gli eroi. La storia dà ampio spazio all'immaginazione sociologica e alla dimensione extra calcistica del racconto: dalla bella metafora del 'popolo delle camicie bianche' di cui Armando Picchi è oggi il simbolico Capitano a quella del 'guerriero zoppo' attinta alla mitologia indoeuropea e che percorre come un filo rosso tutta la narrazione.