"Caro Michele": il piú classico degli incipit epistolari è quello che Natalia Ginzburg sceglie come titolo del suo romanzo. Una madre già avanti negli anni ma ancora giovane e un figlio lontano fisicamente e ancor piú (e soprattutto) distante nelle idee, nelle esigenze, negli affetti e nei dolori. Un figlio per il quale la madre prova rancore, ma dal quale non riesce a staccarsi; e l'ultimo, irrescindibile cordone ombelicale è fatto di sole lettere. Sorta di "Lessico famigliare" dieci anni dopo, "Caro Michele" è un romanzo dai personaggi dispersi, divisi dall'incomunicabilità e destinati alla solitudine, e la scelta del genere epistolare suona provocatoria e simbolica. Con la cronologia della vita e delle opere, la bibliografia essenziale e l'antologia della critica.
Con una serie di epistole scritte da persone diverse ci viene raccontato la vita di Michele.
Michele è il figlio di una famiglia borghese, con genitori separati ed una madre presente, molto desiderosa di condividere i suoi problemi di donna.
Michele cerca invece una separazione, costruendosi una propria vita, con delle amicizie particolari, come Oliviero, chiaramente innamorato di lui.
Michele cerca cerca di staccarsi e lo porta fino a Leeds dove incontra una donna che sposa.
Una donna in difficoltà, con le sue problematiche che forse sposa più per ribellione che per amore.
Il matrimonio dura pochissimo e porterà a Michele fino Bruges dove sarà vittima della repressione della polizia durante una manifestazione.
Siamo in Italia, anni 70, in una famiglia borghese, che perde la dimensione della propria esistenza.
E' un susseguirsi di frustrazioni, delusioni e fallimenti che circonda questa famiglia.
Forse è anche la fine della famiglia come la vediamo noi.
Michele cerca la sua di "famiglia" ma non riesce neppure lui a costruirla, vittima e carnefice di uno smarrimento morale e culturale che sembra distruggere tutto e tutti.
E' la classica famiglia borghese, all'alienazione del vivere ed il forte malessere che ha per tanto tempo caratterizzato la nostra società.
Cosa rimane alla famiglia? Forse solo la memoria della madre.
'Ma non si amano soltanto le memorie felici. A un certo punto della vita, ci si accorge che si amano le memorie.' (pag. 40)
La memoria ci da la forza di andare avanti, la memoria è importante perché ci fa sentire vivi.
Forse con la memoria santifichiamo il nostro passato perché non abbiamo più futuro, futuro che ci spaventa, il futuro ci rende nulli.
Questo vale per le generazioni passati, i giovani non hanno neppure quello :
'I ragazzi oggi non hanno memoria, e soprattutto non la coltivano, e tu sai che anche Michele non aveva memoria, o meglio non si piegava mai a respirarla e coltivarla.' (pag. 155). Poveri giovani che futuro hanno senza memoria? Il vuoto o la morte. Ho l'angoscia di chi rimane.
rmatteuc - 10/05/2007 12:14