Texas, 1949. Lacerato ogni legame che lo stringeva alla terra e alla famiglia, John Grady Cole sella il cavallo e insieme all'amico Rawlins si mette sull'antica pista che conduce alla frontiera e più in là al Messico, inseguendo un passato nobile e, forse, mai esistito. Attraverso la vastità di un territorio maestoso e senza tempo, i due cowboy, cui si aggiunge il tragico e selvaggio Blevins, intraprendono un viaggio mitico che li porterà fin nel cuore aspro e desolato dei monti messicani. Qui la vita sembra palpitare allo stesso ritmo dei cavalli bradi e gli occhi di Alejandra possono "in un batter di cuore sconvolgere il mondo". Con una narrazione che all'asciuttezza stilistica di Hemingway unisce la ritmicità incantatoria di Faulkner, McCarthy strappa al cinema il sogno western e lo restituisce, con sorprendente potere evocativo, alla letteratura.
CAVALLI SELVAGGI di Cormac MacCarthy (tr. Igor Legati, Einaudi editore 2014) è, sotto forma di un western riflessivo, un bel romanzo di formazione. Un giovane cow-boy del Texas parte per il Messico, accompagnato dal migliore amico. I due incontrano un misterioso e sorprendente ragazzino e trovano un buon impiego e una casa. Per il protagonista c'è anche l'amore, ma invece della felicità si avvicendano nella sua vita denuncia, botte, prigione, omicidio e la dura legge della realtà che si impone su tutto. Il romanzo è pieno di belle descrizioni, metafore azzardate, frase sagge e umoristiche. Si percepisce all'opera uno scrittore dall'intelligenza viva e umanissima che non intende abbindolare il lettore, quanto piuttosto metterlo in guardia e farlo riflettere.
Guia Risari - 02/04/2020 13:40