Che il testo sia la prima preoccupazione di Carducci commentatore dei classici, è noto; e lo dimostrano ancor più queste chiose e annotazioni private, frammentarie e composite all'"Inferno" dantesco, con ogni probabilità stratificate nell'arco di un trentennio. Già in una lettera del 1874 a Lidia lo stesso Carducci precisava il suo modus operandi nelle vesti di professore: nelle sue lezioni sui classici era solito scrivere "la sola parte filologica"; per la "parte estetica" si lasciava andare a dire "cose improvvise", ossia, comprendiamo, si affidava ai suoi straordinari acume logico e talento intuitivo, alla sua erudizione di letterato e alla sua ipersensibilità di poeta. Carducci fece interfoliare con due carte l'"Inferno" e il "Purgatorio" dichiarati da Brunone Bianchi (Le Monnier 1854). Nelle carte aggiunte alla prima cantica le facciate annotate sono trecentoundici, le facciate mute centosessantasette. I canti sono disparmente annotati. Ma le duecentoquaranta pagine del testo a cura del Bianchi - ivi comprese le note - sono pressoché tutte chiosate con varianti in margine, in interlinea..