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Quando scopre della transessualità della figlia, Luigi si sente perso, derubato di tutte le sue convinzioni. Non sa come gestire la situazione né come aiutare Roberta ad affrontarla. La prima grande difficoltà è abituarsi al suo nome, "Giorgio", e reimpostare pronomi e aggettivi al maschile. Un intralcio legato alla forma, una cosa che sembra minuscola, una sciocchezza, ma che è il preludio di altre vicissitudini. Già, perché i problemi non risiedono tanto nel piccolo nucleo familiare quanto nel mondo là fuori, intriso di pregiudizi, futili moralismi e ipocrisia, che ha innalzato muri invalicabili per separare i "normali" dai "diversi", come se questo avesse un qualche senso. Luigi si mette a nudo, confessa i suoi limiti e le sue difficoltà e nel farlo espone anche le incongruenze e le brutture della società e della Chiesa. La legge non contempla parole come "normale" e "diverso" e nemmeno il cuore di un padre.