"Sono su un Orient Express che non è un espresso e non è nemmeno Oriente. In Europa l'Oriente non c'è più, l'hanno bombardato a Sarajevo, espulso dal nostro immaginario, poi l'hanno rimpiazzato con un freddo "monosillabo astronomico: 'Est'. Ma l'Oriente era un portaIe che schiudeva mondi nuovi, l'Est è un reticolato che esclude.
Paolo Rumiz, viandante narrabondo, ci racconta il "suo" Oriente macinando chilometri, in treno, su una chiatta, in bicicletta. Non disdegna l'auto ma solo "in solitaria". Sceglie di andare e di vedere secondo ritmi, passi, cadenze che hanno poco a che fare con la velocità, e con la nevrosi della meta. I suoi sono tragitti, tratte, fiumi che portano verso un Oriente che comincia "dopo Mestre", che contamina tutto l'Adriatico, da Chioggia al Salento, un Oriente che, dalla Slovenia all'Ucraina, si stende lento e maestoso, nel fragore muto di imperi caduti, che si specchia nelle acque malate del Danubio, che evoca Istanbul a Berlino e respira come un'alba ignota oltre il Bosforo. Paolo Rumiz osserva, annota, schizza. Nel suo taccuino entrano paesaggi, rumori, sapori, personaggi. Tutto vivo. Tutto preso dal vivo. Al fondo di tanto guardare, l'ossessione (la convinzione) che l'Oriente perduto nei reticolati dell'Est è il vero interlocutore, il mondo che più ci riguarda perché è già parte del nostro mondo, della nostra cultura, del nostro stesso equilibrio.