Mondadori Store

Trova Mondadori Store

Benvenuto
Accedi o registrati

lista preferiti

Per utilizzare la funzione prodotti desiderati devi accedere o registrarti

Vai al carrello
 prodotti nel carrello

Totale  articoli

0,00 € IVA Inclusa

Elogio del crimine

Karl Marx
pubblicato da Nottetempo

Prezzo online:
3,00
Disponibile in 5-6 giorni. la disponibilità è espressa in giorni lavorativi e fa riferimento ad un singolo pezzo
6 punti carta PAYBACK
Prodotto acquistabile con Carte Cultura, 18App e Carta Docente
Condividi
facebook tweet linkedin whatsapp
Condividi
facebook tweet linkedin whatsapp

Questo testo, scritto da Marx fra il 1860 e il 1862 è stato solitamente aggiunto dai curatori alla "Teoria del plusvalore" nel quarto volume de "Il "Capitale". Il ragionamento è semplice: così come il filosofo produce idee e il poeta versi, il criminale, non solo produce crimini, ma tutto un apparato importantissimo ed essenziale alla società: il criminale è infatti l'origine del diritto penale e del professore di diritto penale, dell'apparato poliziesco e giudiziario, del sentimento morale e tragico, dei trattati e dei legislatori.

Dettagli down

Generi Politica e Società » Servizi sociali e Criminologia » Reati di strada, reati commessi con armi da fuoco

Editore Nottetempo

Collana I sassi

Formato Tascabile

Pubblicato 02/05/2006

Pagine 24

Lingua Italiano

Isbn o codice id 9788874521050

1 recensioni dei lettori  media voto 3  su  5
Scrivi una recensione
5 star
0
4 star
0
3 star
1
2 star
0
1 star
0
Elogio del crimine

-

voto 3 su 5 Il testo di Marx coglie, ironicamente, un punto importante della società odierna: che ripercussioni ci sarebbero, di carattere soprattutto economico, se, dall'oggi al domani, la criminalità scomparisse? I filosofi inglesi Hutcheson e Shaftesbury ne sarebbero ben lieti, poichè ritengono che la natura è divina armonia, in cui tutte le cose trovano il loro posto e la loro bellezza. Di diverso avviso Marx, sulla falsariga dell'altro filosofo inglese Mandeville, che vede la criminalità come motore sociale che sorregge quelle sovrastrutture ideologiche che le ruotano attorno: avvocati, giudici, poliziotti, carcerieri...tutti guadagnano e sopravvivono grazie all'esistenza della criminalità. In chiave economica è la stessa teoria de ''La ricchezza delle nazioni'' di Adam Smith. Questa teoria è ancor più efficace se si estende il concetto di ''criminalità'' non solo al delitto privato ma anche a quello pubblico: la guerra. Colbert a suo tempo disse: ''Il commercio è la sorgente delle finanze e le finanze sono il nerbo vitale della guerra''. La criminalità non produce solo quello che oggi chiameremmo ''business'', ma anche e soprattutto arte e letteratura. Questo è, a grandi linee, il contenuto del libro ''L'assassinio come una delle belle arti'' di De Quincey (citato dallo stesso Marx). Egli dice che sono le pulsioni e i sentimenti negativi che stanno alla base delle più grandi opere d'arte e letterarie della storia. Già Kant (nel testo ''Antropologia pragmatica'' e poi nella ''Critica del giudizio'') trovava non nella bellezza, che scaturisce da un senso di armonia prodotto dalla convergenza di intelletto e immaginazione, ma nel sublime, ovvero il conflitto fra intelletto e immaginazione dinnanzi ad un fenomeno straordinario, il fondamento del così detto ''genio artistico''. Tutte queste teorie, che verranno poi riprese da Schopenhauer e Leopardi, erano già state anticipate in un libro scritto nel '700 da Pietro Verri intitolato: ''Discorso sull'indole del piacere e del dolore'', nel quale asserisce che le belle arti hanno origine da quelli che lui chiama ''dolori innominati''. L'arte non dice nulla agli uomini che sono tutti presi dalla gioia e parla invece a coloro che sono occupati dal dolore o dalla tristezza. Sono proprio questi sentimenti alla base di alcuni capolavori. Marx cita ''La colpa'' del Mullner, ''I masnadieri'' di Schiller o ''Riccardo III'' di Shakespeare, ma la lista potrebbe essere notevolmente ampliata: ''Delitto e castigo'' di Dostoevskij, ''L'urlo'' di Munch, ''I fiori del male'' di Baudelaire, etc. Il legame fra queste opere d'arte e lo stato d'animo oppresso dei loro autori è palese. Camilleri, che ha fatto un commento all' ''Elogio del crimine'', cita una famosa frase contenuta in uno dei film più belli della storia cinematografica: ''Il terzo uomo'', in cui Orson Welles, in una scena rimasta storica, afferma che in Italia, dalle guerre civili e dai massacri dei Borgia, è uscito Michelangelo, da Vinci e il Rinascimento, mentre dalla Svizzera, dopo secoli di pace e neutralità, è venuto fuori solamente il ''cucù clock''. Camilleri però, secondo me giustamente, rimane cauto sulle conclusioni che si possono trarre da tutto questo discorso. Una interpretazione capziosa potrebbe asserire che la prima guerra mondiale ci ha regalato le poesie di Ungaretti e la seconda la ''Guernica'' di Picasso. Anche ai tempi dei greci la violenza e il male erano fattori sociali, ma erano incanalati nella espressione artistica della tragedia e svolgevano una funzione catartica (si badi soprattutto all' ''Edipo'' di Sofocle). Oggi l'umanità sarebbe capace di fare lo stesso? A mio avviso no. L' ''Elogio del crimine'' diverrebbe solamente un'arma intellettuale giustificazionista. Se pensate ch'io esageri, guardate le pericolose teorie di Celine a riguardo.

Accedi o Registrati  per aggiungere una recensione

usa questo box per dare una valutazione all'articolo: leggi le linee guida
torna su Torna in cima