«Un libro di storie che con la magia della lingua infrange il silenzio che grava sulla Storia». Neue Zurcher Zeitung
Quando Dresda bruciò, nel febbraio del 1945, dal cielo piovvero uccelli carbonizzati e nel grande parco della città si radunarono, atterriti, gli animali fuggiti dallo zoo. Hermann Funk, all'epoca un ragazzino, si trovava nel bel mezzo di quell'inferno. Non lo scorderà per tutta la vita: nei bombardamenti perse entrambi i genitori. E la visione degli animali bruciati lo spingerà a dedicarsi all'ornitologia, studiando e successivamente lavorando sotto la guida dell'eccentrico e per molti versi ambiguo Ludwig Kaltenburg, un amico di famiglia e il più famoso zoologo ed etologo del XX secolo.
Il professore lo vuole con sé quando, nel secondo dopoguerra, accetta l'offerta di creare, appena fuori Dresda, un Istituto di ricerca destinato a consolidare definitivamente la sua fama internazionale ma soprattutto a dare lustro al primo stato socialista tedesco, la Repubblica democratica tedesca. Il giovane lo vedrà muoversi con apparente disinvoltura fra i complessi meccanismi dello stato e le sottigliezze ideologiche del partito, attraversare i drammatici mutamenti degli anni Cinquanta, dal «complotto dei medici» a Mosca, al caso Slánsky? a Praga, all'Insurrezione ungherese e infine, dopo la costruzione del Muro e la misteriosa strage delle sue amate taccole, lasciare per sempre la Rdt e stabilirsi nuovamente in Austria.
Ma soprattutto è al suo fianco quando Kaltenburg, attirando su di sé le critiche dei colleghi, decide di sconfinare dal terreno di ricerca che gli è proprio, la zoologia, per dedicarsi, nel saggio Forme originarie della paura, che rappresenterà la summa delle sue ricerche, a un raffronto fra i comportamenti di panico negli animali e negli essere umani.
La paura appare così come il sentimento dominante di tutto il XX secolo e pervade, nelle sue declinazioni individuali, politiche, sociali, ogni pagina del romanzo di Marcel Beyer che anche in questa occasione si rivela uno straordinario osservatore dei percorsi umani e in questi della nostra storia.
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«Ho letto le prima dieci pagine di Forme originarie della paura almeno tre volte. Per quanto sono belle, ma anche perché, come tutto il resto del libro, sono ellittiche fino allo spaesamento.. Non che non si dica, si dice tutto quello che è necessario come sanno fare i grandi scrittori, ma la vicenda sembra negata. Fino a diventare uno strano giallo, nel quale niente è quello che appare, e tutto si svela pagina dopo pagina, in un continuo ruminare del senso.. Per farlo, per mettere in scena quel teatro della negazione che è stata la politica della Ddr, Marcel Beyer usa gli animali. Usa anche l'arte, Marcel Proust, l'amicizia, ma sono gli animali a rappresentare con precisione l'inermità di fronte alla catastrofe, e lo sconcerto che si prova quando alla semplicità monotona dell'accadere si sostituisce la progressione inarrestabile del male e la sua misteriosa e ostinata ottusità». Elena Stancanelli, la Repubblica