Avari, fatui, vili, prepotenti: gli Uzeda, la nobile famiglia catanese protagonista del capolavoro di De Roberto, sono dilaniati da accaniti contrasti d'interesse che oppongono il principe Giacomo, duro e avido, al dissoluto conte Raimondo, il cinico e corrotto don Blasco al nipote Ludovico, monaco senza vocazione, e alla sorella, donna Ferdinanda. Alle beghe di fratelli e parenti si aggiunge la lotta che tutti insieme conducono per conservare il potere e gli antichi privilegi. Attraverso le vicende di tre generazioni, I Viceré (1894) compongono un vasto affresco dell'aristocrazia siciliana nel momento del passaggio dal regime borbonico alla realtà sociale dell'Italia unita mettendo a nudo le lacerazioni e lo spregiudicato trasformismo di una classe ormai al tramonto e, per converso, il naufragio degli ideali della nascente borghesia liberale. La tecnica verista si arricchisce di una nuova capacità d'indagine psicologica e di penetrazione nel tessuto vivo della storia e della lotta politica nazionale, che contribuisce a esaltare le doti di De Roberto come osservatore di spietata aridità, pittore di scene fastose, creatore di personaggi stravaganti e sgradevoli. Introduzione di Mario Lavagetto.
Amo molto il Verismo e so che il Verismo non è soltanto I MALAVOGLIA di Verga: mi sono buttato con questo romanzo, in cui molti elementi saranno ripresi dalla letteratura americana (come questo materialismo assolato, simile ma diverso da quello di Zola). Ho notato una somiglianza con CIME TEMPESTOSE di Emily Bronte, dato che anche qui nessun personaggio si salva e nelle ultime parole del romanzo, in cui Consalvo, ultimo degli Uzeda, parla alla zia Ferdinanda in realtà condanna la famiglia e sé stesso... ma io penso che la vera origine dei mali sia stata Teresa Uzeda, che ha costretto i propri figli a fare quello che voleva lei e li ha ridotti alla rovina in modo diverse e più o meno palese.
Gabriele Macorini - 02/03/2005 00:44