Nel quale si racconta di mastro Benedicite, strozziere, e della gran paura che avea. Il sole era tramontato in mezzo a certi nuvoloni neri neri che ingombravano l'orizzonte marino, minacciando, dopo una molto bellissima giornata, una notte burrascosa. Gli ultimi riflessi dell'astro, costretti sotto quella cappa di piombo, accendevano come una striscia di fuoco lunghesso il mare, che si vedeva nereggiare in lontananza, di la da parecchi ordini di monti e colline, che sono i contrafforti dell'Apennino ligustico. Le giornate, essendo sul finire d'autunno, riuscivano brevi; l'aria, gia fresca per la stagione, si raffreddava sempre piu per l'accostarsi del temporale e per il calar della notte. E gia nascosto nell'ombra, sebbene fosse murato su in alto, era il castello di Roccamala, severo edifizio tra il monastico e il feudale, siccome era dimostrato da un campanile, vecchio avanzo di chiesa, dimenticato in mezzo a torrioni e mura merlate, le quali avevano da due lati l'abisso, e un largo fosso dagli altri due, dov'era piu dolce il pendio. Se la memoria non mi tradisce, questo castello di Roccamala era stato da principio un convento di frati cirsterciensi, ordine il quale, fondato appena da S. Bernardo, si propago alla lesta come una nidiata di conigli, e corse in pochi anni a popolare i paesi vicini. In Italia, segnatamente, e' furono come le cavallette d'Egitto. Dappertutto edificarono monasteri, e in parecchi luoghi (poiche allora, a quanto sembra, la novita delle fogge presiedeva eziandio alla prevalenza di questo o di quel sodalizio di frati) si allogarono in que' conventi che altri ordini piu non potevano far prosperare, tanto erano andati giu nel concetto delle anime timorate