Raccontano, le cronache dell'antichità mitica, di metamorfosi varie. E di Niobe, madre superba dapprima, e poi dolorosissima. Gli dèi le uccisero i figli, per vendetta. Ne ebbero pietà alla fine. E la trasformarono in pietra. Ma da quel sasso, da quella roccia insensibile, sgorgò una sorgente di lacrime. Anche a Vigàta accadono fatti da far girare le sante cose, i cosiddetti 'cabasisi', nell'anno di grazia 1942: mentre guasconeggiano marronate fascistissime, e svampano i primi fuochi che scommuovono l'aria e preludono allo sbarco degli alleati. Non ci sono dèi a Vigàta. Ma regolarità abitudinarie. Treni che vanno e vengono strasciconi. Concertini domenicali. Rispetti e convenevoli. Prodigi d'ingegno anche, di brava gente e di uomini d'onore. E arcaici istinti, primitività animale, e violenza selvaggia nell'ombra. La mostruosità è dentro, negli interstizi della feriale convivenza. Cospira. E quando esplode, feroce e distruttiva, è la provvidenza del dolore a intervenire. Con il ritorno delle antiche metamorfosi. Con la pietrificazione. O con la regressione vegetale, che è tentativo disperato di riaccedere al ciclo vitale della natura. Camilleri è il cronista, il favolista e il mitografo della comunità vigàtese. Racconta di Minica e di suo marito, il casellante Nino Zarcuto. Della loro modesta vita nella solitaria casetta gialla, accanto a un pozzo e a un ulivo saraceno: in mezzo a un paesaggio arcigno, blandito dal vicino mare e dalla luce. Vogliono la grazia di un figlio, i due casellanti. Si prodigano. Ma la violenza è un gorgo voraginoso, che risucchia i due coniugi. Il dolore è atroce, straziante. Pietrifica. Minica è una Niobe, ora in un'umile mitologia rusticale. Ha per occhi due laghi trabpccanti. Vuole essere madre tuttavia. E ostinata. Una fantasticheria vegetale le fa credere di poter diventare albero. Di mettere radici e di dar frutti, dopo essere stata innestata. Il marito l'asseconda, amoroso e sollecito. Il figlio arriva infine, come arrivano i miracoli: donato dagli scrolloni della morte e della guerra. Camilleri si apposta negli svolti della tragedia. E vi aspetta il lettore, con una candela accesa in mano. (Salvatore Silvano Nigro)
Andrea Camilleri è nato a Porto Empedocle (Agrigento) il 6 settembre 1925. Per tutta la sua vita, nonostante il suo grande attaccamento con la Sicilia, vivrà a Roma, dove muore il 17 luglio 2019.
Frequenta il liceo classico Empedocle di Agrigento senza conseguire la maturità poiché nel maggio del 1943 con lo sbarco in Sicilia delle forze alleate fu deciso di non svolgere gli esami e che sarebbe valso il solo scrutinio.
Il periodo della guerra è ricordato da Camilleri attraverso aneddoti che &
Questo libro mi ha molto emozionata e commossa, ha toccato le corde dell'anima
Il casellante
Anonimo - 29/04/2010 11:21
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Sembrerebbe che il maestro comincia a sentire l'età, molti punti, oltretutto un finale tirato per i capelli, lasciano il dubbio.
Il casellante
Anonimo - 09/02/2010 00:43
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Romanzo non all'altezza degli altri di Camilleri.
Il casellante
Anonimo - 21/02/2009 15:20
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Un Camilleri lontano da Montalbano , in una storia fiabesca ambientata nella Sicilia del periodo bellico della seconda guerra mondiale . Un racconto lieve e delicato , scritto come sempre con maestria che riesce gradevole e si fa leggere tutto d'un fiato.
Il casellante
Arcangela Cammalleri - 02/07/2008 18:57
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Dopo "Maruzza Musumeci" metamorfosi donna-sirena, siamo alla trasformazione donna-albero ( arbolo): le mutazioni si replicano. Certo che la fantasia di Camilleri è una fonte energetica inesauribile e va "oltre i confini della realtà" e a noi poveri lettori fa strabuzzare tanto d'occhi e raggiungere sempre alti gradi di piacevolezza. Si ha l'impressione che i libri "Camilleriani", senza Montalbano, stiano subendo una virata in senso fiabesco, senza, tuttavia, perdere gli agganci con la realtà in una commistione tra passato e presente in cui i fatti sono trasfigurati e i personaggi esacerbati nei loro caratteri, le donne si trasmutano come se volessero attingere a nuove forme per affrontare sfide ai limiti dell'impossibile. Questo substrato di materia narrativa, paradossale e, amara e pietrificante, è impastata da una prosa così strettamente imparentata con il dialetto che anch'essa in trasmutazione, diviene tale. Siamo a Vigata, nel 1942, durante la 2° guerra mondiale, le leggi fascistissime, ridicole nella loro iperbolica radicalizzazione, i bombardamenti aerei, uomini dabbene e immancabili uomini d'onore fanno da sfondo al teatro umano fatto di bassi istinti, primigenia barbarie, violenza ferina e ottundimento delle menti. I due protagonisti, Minica e il marito casellante Nino Zarcuto, si trovano, vittime inconsapevoli, in balia di eventi più grandi di loro. Il tema della metamorfosi, in questo caso, non riuscito (di classica e non memoria), s'innesta nella mente di Minica quando la sua essenza di donna, non più in grado di procreare, la porta a voler diventare un tutt'uno con la natura per riappropriarsi del ciclo vitale di essa a lei che quel ciclo le era stato tolto con la violenza. Estirpata dalle sue radici materne, ella si abbarbica nella terra, in una sorta di rivendicazione di essere soggetto mutante quando la ferocia bestiale dell'essere bruto l'aveva ridotta in mero oggetto consumante. Minica semplice ed illetterata, caparbia e radicata nel suo dolore viscerale, nel suo forte istinto materno, vuole ritornare allo stato vegetale per mutarsi in albero: una follia che solo suo marito per amore e solo per amore asseconda; innaffiarsi, essere concimata, potata, innestata, sono i ritmi effettuali della nuova vita di Minica. Ed ecco che la tenacia e l'ostinazione alla fine daranno i loro frutti: dalle macerie della guerra un bambino sortirà ad illuminare i toni foschi e drammatici della storia. Lo sguardo pietoso di Camilleri vigila al fine di non precipitare nella tragedia. In un'immagine sacra di Madonna con il "Suo" bambino si chiude "Il casellante" a cristallizzare il momento di estatica felicità di Minica: una sorta di quadro della natività, madre, figlio e la grotta rischiarata dalla luce della speranza (o della provvidenza?). Un romanzo di ombre oscure e di luci abbacinanti come è nello stile di Camilleri dove si fondono armoniosamente tutti i segni d'identificazione propri della sua immaginifica arte.
EVA TROJA - 23/06/2014 16:23
Anonimo - 29/04/2010 11:21
Anonimo - 09/02/2010 00:43
Anonimo - 21/02/2009 15:20
Arcangela Cammalleri - 02/07/2008 18:57