"Nell'estate del 62 a.C. il poeta Archia, un greco d'Asia che da oltre trent'anni gravitava nella cerchia delle grandi famiglie di Roma come cantore delle glorie gentilizie, venne sottoposto a processo per usurpazione della cittadinanza romana: un diritto ambito, che solo da pochi decenni, con la legge Plauzia-Papiria, era stato esteso alle città italiche federate. La situazione di Archia, in proposito, era alquanto controversa; ma Cicerone, che sostenne la difesa, orientò l'attenzione dei giudici, più che sugli aspetti legali della causa, sulla personalità dell'imputato, celebrato come maestro di cultura e di poesia; e assumendo per la prima volta una posizione che sarà da lui esplicitamente ribadita nelle opere successive, rivendicò apertamente il valore di quegli studi letterari e filosofici che la tradizione romana della 'gravitas', radicata negli ambienti più tenacemente conservatori, induceva ancora a posporre alla politica. La difesa di un poeta diveniva così, nelle parole appassionate di Cicerone, un vero e proprio elogio delle attività intellettuali, sentite come ricchezza e ristoro dello spirito e come fondamento di progresso civile. Senza la luce delle lettere, senza la grazia della poesia, nessuna gloria umana potrebbe oltrepassare i confini della vita mortale, e la memoria storica si dissolverebbe nel silenzio. E' il credo che informerà, nei secoli, la tradizione umanistica dell'Occidente, e insieme un messaggio con cui Cicerone, nella coscienza dell'incipiente declino della repubblica, sembra voler affidare alle lettere il ricordo imperituro della grandezza romana e del suo stesso operato. Al testo della ""Pro Archia"", qui affiancato dalla traduzione di Giovanna Bertonati, è premessa una densa e illuminante introduzione di Emanuele Narducci, che, in due distinte sezioni, illustra il pensiero retorico di Cicerone e l'andamento dell'orazione. Edizione con testo a fronte."