Aprile 1944. Nell'Italia occupata, le truppe nazi-fasciste si trovano a compiere l'ennesimo eccidio ai danni di civili inermi, per vendicare le azioni condotte dai partigiani della Brigata Garibaldi, operante nella zona ove sorge la Linea Gotica. Un viaggio difficile attraverso una Penisola ferita e martoriata, che porterà il protagonista a ritrovarsi di continuo sul filo tra la vita e la morte. Una sfida impari contro un nemico implacabile e contro se stesso, alla ricerca della "giusta" vendetta, fino a che...
Al suo primo romanzo, lautore ci sorprende con un romanzo godibile, avvincente e davvero interessante, ma soprattutto scorrevole. Nulla è lasciato al caso. Prova ne sia la gentile suspense che coglie il lettore sin dalle prime righe, quando con un abile flash-back sembra abbandonare la scena del delitto, per permetterci di carpirne la premessa. Luomo costruisce case perché è vivo e scrive libri perché è mortale, scrive enigmaticamente Daniel Pennac alla fine del suo decalogo .
La conoscenza dei luoghi, la capacità descrittiva, linquadramento storico con i suoi precisi e puntali riferimenti nel testo, lattenta descrizione di armi e mezzi, accompagnano il lettore lungo il dipanarsi di una storia, avvinghiandolo al testo e incollandolo alla sedia.
Vittorio non era mai stato un ragazzo particolarmente coraggioso e questo, durante la sua giovinezza, era stato spesso motivo di scherno da parte sei suoi compagni. Lui cercava di celare in tutti i modi la sua assenza di ardore e di farla passare come semplice timidezza e riservatezza. Ma se questo era il lato, se vogliamo, meno nobile della medaglia, laltra faccia invece ritraeva un Vittorio che sin da piccolo aveva dimostrato di possedere una vivace intelligenza e una pregevole propensione per lo studio: ne erano coscienti sia i maestri sia i genitori.
[] Papà Luciano, per paura che il suo unico figlio potesse morire in un nuovo conflitto, prospettò a Vittorio unidea alquanto stravagante ma certamente efficace per tentare di tenerlo lontano dai campi di battaglia. Vittorio, perché non entri in seminario?
Così si dipana la storia di Don Vittorio parroco di Casteldelci, che lautore accompagna con sagacia e maestria, in un periodo molto particolare della Storia italiana, dopo l8 settembre, in quella parte del Paese che subisce le angherie delloccupazione nazista in contrapposizione alla Resistenza partigiana, bevendo dal calice amaro delle ferite cagionate da quella che è ormai una guerra civile. Dal suo paesino inerpicato sullAppennino romagnolo, dove ha trovato rifugio e nascondiglio, Don Vittorio intraprende il suo cammino, declinando così quel romanzo di formazione che la sua gioventù ha immolato, nolente, sullaltare del secondo conflitto mondiale. Streng Geheim recita solennemente il plico cui vincola il suo destino, messaggero di vendetta e foriero di pace allo stesso tempo, ultimo baluardo di una resurrezione tanto agognata.
Una storia ordinaria, la sua, sospesa tra il bagliore della sigaretta del Maggiore Hoffman (p 178) e quello della bionda del Sergente Roy (p 227); e che sublima in un lampo improvviso su una spiaggia occupata dagli Alleati, con il suo carico di speranza e la sua improbabile coerenza.
Don Vittorio percorre il libro in uno spazio che sembra ignorarne la presenza e che lo accompagna durante tutto il suo viaggio, con momenti di profonda sensibilità, ma senza scalfire il ritmo incalzante di un mondo circostante che, assuefatto al tributo crudele messo in palio da un conflitto tanto incomprensibile quanto ormai giunto alla resa finale, lo guarda passare senza chiamarlo in causa. Perché loccupazione nazista e la guerra in Italia si sarebbero protratte per un altro anno, lasciandosi dietro ancora una lunga scia di morte e distruzione.
zanclaude - 06/11/2022 16:36