Attraverso i rapporti alterni e contraddittori tra intellettuali e Partito comunista si colgono le attese di un paese al quale il passaggio dal regime fascista alla costituzione repubblicana sembrava aprire ogni possibilità di libertà e di progresso, al limite dell'utopia. E il Pci appariva l'interprete politico naurale di queste speranze. Ma nonostante l'ampiezza delle sue aperture, uniche, anche per i partiti comunisti d'Occidente, il Pci si trovò ben presto a fare i conti con la propria realtà di istituzione politica vincolata da tensioni durissime all'interno del paese, e da un 'legame di ferro' con l'Urss all'esterno. Di qui le prime frizioni e fratture, culminate nell'episodio del "Politecnico", la rivista di Vittorini, alla quale Togliatti ritirerà ben presto l'imprimatur del partito; e, più tardi, nella rivolta degli intellettuali che seguì ai fatti dell'"indimenticabile 1956". I fatti e l'atmosfera di quegli anni ci vengono restituiti, anche da una rilettura di giornali, riviste, resoconti di congressi, e attraverso lettere inedite; ma soprattutto Ajello si è servito della testimonianza di protagonisti diretti della vita pubblica italiana.