Un pensiero umile e potente, in queste nuove poesie di Maria Grazia Calandrone, attraversa le cose, l'esperienza, e dà loro corpo che nella parola poetica trova conferma e durata. Ecco che la pagina diviene un campo aperto, dove voci diverse si incrociano, si alternano in una sorta di dialogo incompiuto, per raccontarci della vita, animale, vegetale, materiale, vissuta tra reale e nostalgia del reale stesso e con la volontà o il sano desiderio di tornare "bassi, vicini al senso delle cose", prima che il definirle ne diminuisse le virtualità e il valore, poiché "tutto, prima di essere nome, era pura bellezza". Troviamo persone, tra le quali c'è ancora chi porta "l'enzima dello stupore". Il percorso vuole addentrarsi nei grovigli di un'esperienza cresciuta su se stessa intensamente, "fino a conoscere che niente, / nessuno, in nessun luogo mai / è perduto per sempre". Calandrone lavora su varietà di strutture e registri, passando da un muoversi più corposo e magmatico a un'asciuttezza più verticale e lirica, molto icastica e dunque carica di una non comune energia espressiva.