Scritto a caldo nel 1978, questo libro non ha che guadagnato con gli anni. Mentre, in una nobile gara di codardia, i politici italiani, nonché i giornalisti, si affannavano a dichiarare che le lettere di Moro dalla prigionia erano opera di un pazzo o comunque prive di valore perché risultanti da una costrizione, Sciascia si azzardò a leggerle, con l'acume e lo scrupolo che sempre aveva verso qualsiasi documento. Riuscì in tal modo, sulla base di quelle lettere, a ricostruire una intelaiatura di pensieri, di correlazioni, di fatti che sono, fino a oggi, ciò che più ci ha permesso di capire, o di avvicinarci a capire, un episodio orribile della nostra storia. Presentando il libro nella sua ultima edizione (1983), Sciascia scriveva opportunamente «questo libro potrebbe anche esser letto come "opera letteraria". Ma l'autore - come membro della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla "affaire" - ha continuato a viverlo come "opera di verità" e perciò lo si ripubblica (non più col rischio delle polemiche, ma del silenzio) con l'aggiunta della relazione di minoranza (di assoluta minoranza) presentata in Commissione e al Parlamento. Una relazione che l'autore ha voluto al possibile stringare, nella speranza abbia la sorte di esser largamente letta: qual di solito non hanno le voluminosissime relazioni che vengono fuori dalle inchieste parlamentari».
Ferdinando Scianna, fotografo di Leonardo Sciascia, racconta che una volta un contadino chiese al maestro elementare di Racalmuto cosa stesse scrivendo. Sciascia rispose: mah, una specie di tragedia. E il contadino: in una tragedia ci vuole un re, e lo devono ammazzare, e deve essere terribile. Stava scrivendo Laffaire Moro.
Antonio De Rose - 20/05/2013 15:55